Pubblicato sul manifesto il 3 dicembre 2024 –
La libreria “SpazioSette” di Roma strapiena venerdì scorso, 29 novembre. Data di nascita, cento anni fa, a Napoli, di Gerardo Chiaromonte (scomparso nel ’93). Si presentava il numero della rivista “Infiniti mondi”, diretta da Gianfranco Nappi, dedicato alla “lezione” del dirigente del Pci che fu durante la “solidarietà nazionale” il numero due del partito, tramite tra Berlinguer da una parte, Moro e Andreotti dall’altra. Ma anche vicinissimo al Psi di Craxi.
Una iniziativa voluta e pensata prima di tutto dalle figlie di Chiaromonte Franca e Silvia (qui la registrazione del dibattito su Radio radicale).
Interviste e articoli di protagonisti del comunismo italiano (da Bassolino a Violante, Livia Turco, Fernanda Fermariello, per citare qualche nome) e di personalità come il cardinale Zuppi, Rino Formica.
Anna Maria Carloni ha moderato la discussione.
Partiamo dalla fine. Dagli anni di Tangentopoli. Chiaromonte, presidente della Commissione antmafia, non solo era “garantista”, preoccupato del ruolo potente della magistratura, ma molto pessimista – ha ricordato Paolo Franchi – su una vicenda che stava destrutturando il sistema dei partiti della “Prima Repubblica”. Non solo lui giudicava la democrazia italiana troppo fragile, a grave rischio.
Pier Ferdinando Casini racconta che con altri giovani dc non voleva votare Nilde Iotti alla presidenza della Camera: furono convinti dai dirigenti più autorevoli. Oggi elogia la strategia “inclusiva” della Dc, che con l’istituzione delle Regioni e poi con l’attribuzione alla Iotti della “terza carica dello Stato” avvicinava i comunisti alla gestione delle istituzioni. Fino ai tentativi di coabitazione prima e dopo il delitto Moro. Sì – ha ribadito Giuseppe Gargani – fu centrale il ruolo che Dc e Pci, con uomini come Chiaromonte, ebbero nel costruire la Repubblica (che poi tanto “fragile” non era essendo sopravvissuta – non approfondiamo qui come – fino a oggi).
Nostalgia per i tempi in cui la politica “era un’altra cosa?”. Semmai l’esigenza di non rimuovere il passato se si vuole far meglio oggi. Lo dice Letizia Paolozzi, che ricorda gli anni all’Unità di Chiaromonte, quando l’uomo della “vecchia guardia” riformista è convinto dell’autonomia della redazione, e la difende dalle critiche che vengono dal partito anche quando non condivide certe provocazioni di cui è persino all’oscuro. È il caso del “Nattango”: l’inserto satirico diretto da Sergio Staino che uscì con una vignetta in cui il segretario comunista Natta ballava nudo al suono di strumenti imbracciati da Andreotti e Craxi. Quando il caporedattore Piero Sansonetti, raggiunto dalle minacce di Occhetto che a Botteghe Oscure sapeva (chissà come) dell’uscita il giorno dopo del numero incriminato gli chiese “che fare” la risposta tattica fu: non rispondere al telefono, lo farò anche io…
Non manca la domanda: il “garantismo” di Gerardo si era manifestato anche a proposito delle leggi speciali approvate negli anni Settanta (ancora Paolozzi)? Nessuno si imbarca a rispondere.
Dai racconti di D’Alema esce la figura umana originale del dirigente che lo invitò a cena due volte in occasioni cruciali: quando entrava nella “rosa” di giovani tra cui sarebbe stato scelto come segretario della Federazione giovanile comunista dopo la tempesta del ’68. E quando fu “punito” per aver osato proporre una legge per legalizzare le droghe leggere. Non era certo nella prassi un contatto così ravvicinato e colloquiale.
Ma Chiaromonte era un uomo curioso oltre che colto. Un riformista napoletano che aveva studiato Marx e Croce, e non solo. Uno “storicista incallito”, come si definiva con sornione orgoglio, con un di più di cultura “illuminista” e scientifica. Qualcosa – per D’Alema – che lo teneva ben distante dagli influssi stalinisti, che pure non mancavano in quel partito.
La rivista on line Ytali ha pubblicato il mio articolo su Infiniti Mondi, dedicato alle esperienze di Chiaromonte alla direzione dell’Unità e di Rinascita A.L.