La Stampa ha riportato la notizia di una nuova e selettiva forma di associazionismo a Torino. Piccoli gruppi di persone – contattati da una coordinatore tramite passaparola – decidono di mettere in comune un po’ di risparmi mensilmente. E ogni mese ognuno di loro riceve il denaro di cui ha bisogno per un progetto o una specifica esigenza; il denaro che resta viene investito e breve termine. Alla fine dell’anno ogni componente del gruppo avrà versato e ricevuto denaro e ricavato un piccolo margine di interesse. Con forme e contesti differenti l’economia informale – che mette insieme delle persone per gestire risparmi per realizzare obiettivi comuni o individuali senza passare per i canali tradizionali del finanziamento e dunque senza pagare i servizi e gli interessi delle loro operazioni a una banca o finanziaria – esiste da sempre. In Senegal si chiama tontine, in Mozambico chitique (ma esisteva anche nei grandi palazzoni della Roma post bellica) e sono state le donne a inventarla, sia perché le banche non facevano loro credito, sia per mettere da parte qualche risparmio del proprio lavoro di cui il marito non fosse a conoscenza.
In Italia, mentre i mercati scendono il Mercatino sale. Parliamo del successo della rete di negozi in franchising che in poco tempo ha preso piedi in città e piccoli centri, spesso riunendo sotto un solo nome realtà già esistenti. Spazi molto grandi dove è possibile portare in conto vendita e comprare oggetti usati, dai mobili ai vestiti, dalle scarpe ai libri, alle stoviglie, ai quadri. Il venditore porta un oggetto in negozio che viene valutato, il prezzo e il margine di guadagno stabilito sia per il proprietario che per il venditore, solitamente il 50% per oggetti piccoli, il 65% per quelli grandi, come armadi e cucine. Un mese dopo si può passare a riscuotere il venduto o ritirarlo sei mesi dopo in caso di mancata vendita. L’operazione è stata un successo: i negozi sono pieni di gente che vende e compra, ma l’aspetto più interessante è il pubblico, fatto di giovani vecchi, italiani, stranieri, donne e uomini, ricchi e meno ricchi. I primi si liberano di una vecchia tazza della nonna, i secondi mettono su casa senza nemmeno passare per l’Ikea. Già perché le reti di materasso costano 12 euro l’una, una cucina componibile con elettrodomestici 350 euro, i libri 2 euro l’uno, senza contare i veri affari, come qualche mobile antico oppure una borsa firmata Ferragamo.
La vera novità delle notizie raccontate non sta nella freschezza dei fatti, quanto nella rapida ascesa del fenomeno, nella trasversalità dei soggetti interessati, nel volume degli affari realizzati. Penso che il successo del mercato degli scambi e degli acquisti informali sia il segnale inequivocabile non solo di un maggiore rigore nelle spese da parte di tutti, ma anche il rifiuto esplicito di un ventennio di politica di marketing del mercato che ha spinto a favore di una immagine di donne e uomini felici solo nell’atto dell’acquistare, soddisfatti e consolati solo se collocati dentro un centro commerciale o in una lussuosa boutique, a seconda delle tasche. Di gente stanca di non capire nulla della politica che le banche riserva ai propri piccoli consumatori, della perenne sensazione di sentirsi turlupinati.
Vendere e comprare al Mercatino, condividere un piccolo progetto finanziario con un gruppo di amici, è anche un modo nuovo di dire basta.
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