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Microcritiche / Il pianto del “Joker russo”

15 Settembre 2024
di Ghisi Grütter

LIMONOV – Film di Kirill Serebrennikov. Con Ben Whishaw, Viktoria Miroshnichenko, Tomas Arana, Corrado Invernizzi, Evgeniy Mironov, Andrey Burkovskiy, Francia 2024. Sceneggiatura di Awel Pawlikowski, Ben Hopkins e Kirill Serebrennikov, fotografia di Roman Vasyanov.

Il regista Kirill Serebrennikov (oggi in esilio) è stato il direttore artistico del Centro Gogol di Mosca dove era anche docente presso la Scuola di Arti Teatrali. È solito rappresentare le vite di personaggi che finiscono per essere trascinati, spesso travolti da passioni esplosive o da forze irrazionali. Qui racconta la vita del cosiddetto “Joker russo” Ėduard Limonov – pseudonimo di Ėduard Veniaminovič Savenko (1943/2020) – che è stato uno scrittore e un politico russo (interpretato dall’attore britannico Ben Whishaw).
Un personaggio sicuramente contorto, controverso e pieno di contraddizioni che, nella vita, o almeno così come è rappresentato sia da Serebrennikov sia da Emmanuel Carrère che ne ha scritto la biografia romanzata da cui è stato tratto il film. Però rispetto al libro di Carrère il protagonista perde di reale violenza e gioca prevalentemente al disadattato, non fa paura fino alla breve parte finale dove si adegua perfettamente al regime di Putin.
Limonov cresce e studia a Charkiv in Ucraina, in epoca sovietica. Poeta, autore di romanzi auto-biografici che riscuoteranno successo a livello internazionale (oltre che in Russia, in Francia e negli Stati Uniti), sarà anche guerrigliero nella guerra civile jugoslava al fianco dei serbi.
Alla fine degli anni Sessanta si trasferisce a Mosca dove svolge vari lavori oltre a raggiungere una certa notorietà. Nel 1974 assieme alla sua compagna Elena si trasferisce a New York.
Qui frequenta di tutto: circoli punk e avant-garde, gruppi trotskisti e filo-cubani, conosce la musica di Lou Reed e comincia a scrivere il suo primo romanzo che in Italia verrà pubblicato nel 1985 col titolo Il poeta russo preferisce i grandi negri, alludendo alle esperienze omosessuali avute con giovani afroamericani nel periodo in cui ha vissuto come homeless. E forse questa è la scena più bella del film in cui il protagonista perde ogni sicurezza, regredisce e scoppia in un pianto accorato chiedendo cura e attenzioni proprio al suo occasionale partner afroamericano.
Manhattan è descritta dal regista con ovvi stereotipi sulla New York degli anni Settanta citando esplicitamente “Taxi Driver” e la musica dei Velvet Underground. Limonov lì si consuma fino al degrado, ma riuscirà in una sorprendente trasformazione da “poeta maledetto” ad attento maggiordomo di un ricco editore grazie a cui entrerà in contatto con altri intellettuali russi in esilio. Lentamente il proprio credo politico si sposterà su posizioni nazionaliste estreme.
Negli anni Ottanta si separa dalla prima moglie e sposa la modella Natalija con la quale trasloca a Parigi dove inizia una querelle ideologica con gli intellettuali francesi che finiscono per emarginarlo costringendolo a ritornare in Russia, dopo la caduta della Unione Sovietica. Sarà leader e fondatore con Aleksandr Dugin del Partito Nazional Bolscevico (NBP, successivamente messo al bando nel 2007), anche se Limonov si è descritto come un nazionalista moderato, socialista “della linea dura” e attivista dei diritti costituzionali. Fonderà un partito ma sarà accusato di terrorismo e incarcerato.
Le didascalie del film ci diranno che Limonov è morto nel 2020 dopo aver abbracciato la causa dei filorussi nella guerra del Donbass.

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