Pubblicato sul manifesto il 23 luglio 2024 –
di Alberto Leiss
In un bell’articolo su Internazionale, ripreso dal Centro per la riforma dello Stato (https://centroriformastato.it/coreografia-del-trump-redento/) Ida Dominijanni riflette sulle tre fotografie che hanno già fatto la storia dell’attentato a Trump. La più famosa e riprodotta globalmente è quella del capo che si rialza, alza il pugno, mentre una poliziotta cerca inutilmente di contenere il suo impeto, insieme agli altri agenti che lo circondano. Combatti! Combatti! Combatti! E sullo sfondo il cielo azzurro e la bandiera americana.
Un’altra foto straordinaria è quella che coglie la traiettoria di uno degli spari.
La terza ritrae il volto di Trump mentre è a terra, e forse si sta appena rendendo conto di quello che gli è successo. Che è scampato alla morte per una sorta di miracolo.
«Non so – scrive Dominijanni – se è per puro caso che sia stata una donna, Moneymaker, a cogliere nel Trump caduto la vulnerabilità del leader, e un uomo, Vucci, a immortalare nel Trump rialzato la rivincita rabbiosa ed eroica del capo. Ma so per certo che il senso delle due foto cambia a seconda che a guardarle sia un occhio sedotto o un occhio distante dal virilismo duro e puro che lo scatto di Vucci immortala e santifica».
Ci ho ripensato apprendendo della scelta di Biden di ritirarsi. Tra sette anni – e il tempo, chissà perché, passa sempre più velocemente – avrò la sua età. Forse per questo ho vissuto in tutti questi giorni come una aggressione troppo violenta la pressione contro di lui, per via della fragilità che il suo corpo vecchio è andato sempre più spesso esponendo.
Quella terza foto ci dice che anche il roccioso e volgare Trump ha un lato fragile. Una condizione a cui lui risponde capovolgendola istintivamente in forza bruta. La scelta di Biden, forse obbligata, comunque sofferta, sembra invece elaborare la propria fragilità con un gesto che parla di una forza meno bruta.
Nelle chiacchiere televisive di domenica sera, e dopo che è stato sempre più chiaro che l’endorsement di Biden per la sua vice e tutto il contesto politico e istituzionale americano avrebbe reso molto molto difficile una candidatura alternativa a quella di Kamala Harris, è rapidamente emersa l’ipotesi di un “ticket” femminile. Giornaliste e giornalisti, sempre molto presi dall’ansia di dimostrare ognuno/a di saperla più lunga degli altri, si sono divisi sull’opportunità di una simile scelta.
Dunque niente da ridire sul ticket repubblicano tutto maschile, anche se certo si tratta di maschi “alfa”. Ma un “eccesso” femminile fa ancora problema?
Tutta o quasi la politica mi pare si dibatta tra una condizione di grande fragilità (le vecchie idee di sinistra hanno fallito, ma anche il capitalismo e le illusioni liberali sul suo conto stanno fallendo: vedi Ferruccio de Bortoli che sul Corriere di domenica, dopo il crash tecnologico apocalittico, e lo sciopero dei grandi finanziatori verso Biden, si accorge che non va bene un mondo dominato dagli Elon Musk), fragilità alla quale si risponde, forse anche inconsciamente, col votarsi alla forza bruta, alla guerra. Mentre sarebbe necessaria, oso dire, una autocoscienza – soprattutto maschile – sulle radici della propria fragilità. Sarebbe già la premessa di una politica diversa.
Del resto è la condizione esistenziale di ampi strati sociali il cui malessere alimenta le “maniere forti” delle destre di ogni tipo e in tutto il mondo. Che spinge anche il giovane “incel” (per chi non lo sapesse un maschio celibe lui malgrado, uno che fa fatica ad avere relazioni umane sensate con l’altro sesso e gli altri in genere) Thomas Crooks al suicidio usando il fucile di papà contro Donald Trump.