In un quartiere romano che conosco poco mi sono imbattuto in una meravigliosa libreria di testi usati e anche antichi. Piccola ma ricchissima. Dentro tre signori anziani seduti, il negoziante, e due clienti, che parlavano con trasparente piacere di testi e di immagini stampate di altri tempi.
La cosa mi ha messo di buon umore (aumentato dal fatto che in un’oretta – tempo di attesa guadagnato, utile per scoprire la libreria, e altro – un simpatico tecnico di strumenti musicali lì vicino ha riparato una mia tastiera che si rifiutava di eseguire al tocco il piano e il forte): ho investito 10 euro per comprare due libri. Uno è il Dizionario delle armi di Letterio Musciarelli – credo un “classico” nel genere – edizione economica anni ‘70, un Oscar Mondadori ingiallito, ma con moltissime illustrazioni di bellissime pistole, spade, pugnali antichi e meno belli e antichi carri armati, missili, bazooka, cannoni.
Detesto la guerra e la violenza. Ma maneggiare una bella pistola mentirei se dicessi che non mi attrae. (Vizio preso da bambino-cowboy?)
Ci ho pensato osservando sgomento la passione mediatica con cui ora si parla di droni, missili, sistemi di difesa, aumento delle spese militari perché bisogna difendersi da nemici sempre più minacciosi. Magari il ritorno della coscrizione obbligatoria. Naturalmente “paritaria” per maschi e femmine.
L’altra notte ho guardato anch’io le lucine bianche, udito gli strani sibili e le esplosioni fiammeggianti e soffocate nei cieli di Israele. Molta inquietudine, temperata dal ripetermi mentalmente che l’Iran voleva dare una dimostrazione alla fine non troppo distruttiva. Altra cosa furono quei lampi verdastri sopra Baghdad, più di trent’anni fa, quando capimmo che la fine della guerra fredda non era la fine delle guerre.
Mi è venuta un’idea infantile (un po’ come quella pensata al momento dell’invasione russa dell’Ucraina: Zelensky avrebbe dovuto scappare e continuare come attore a battersi in tutto il mondo per la libertà nel suo paese, mentre gli ucraini organizzavano una resistenza passiva agli invasori. È sacro battersi per la libertà, ma la vita non è ancora più sacra?). Eccola: gli ayatollah che governano l’Iran con i loro missili e droni più o meno dimostrativi hanno attaccato apertamente Israele. Non dovrebbero ora capovolgere questo fatto militare e simbolico finalmente nel riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele?
Questo potrebbe avvenire se Netanyahu ascoltasse tutti quelli che gli chiedono di fermarsi, e riconoscesse anche lui l’esistenza di un popolo e di uno Stato palestinese?
Persino un “liberale” che ha sciaguratamente approvato troppe guerre “giuste” e “umanitarie” come Michael Walzer ha detto che l’attacco a Damasco voluto da Netanyahu e l’uccisione dei figli del capo di Hamas sono «operazioni militarmente non necessarie e sconsiderate». E che continuare a “rispondere” ogni volta e a tutti i costi sembra «un bisogno machista di dimostrare la propria forza».
Ma, se esistono in questo e in altri paesi dei partiti democratici (e sindacati, associazioni democratiche), che cosa aspettano a suscitare sul serio una voce del “demos”, del popolo che non vuole la guerra, organizzando almeno presidi quotidiani presso le ambasciate di Ucraina, Russia, Iran e Israele? Chiedendo che finalmente si metta fine con accordi e riconoscimenti reciproci a tutta questa follia?
Ci sono anche buone notizie.
A Milano gli artisti Michael Ackerman (Israele) e Ramak Fazel (Iran) hanno deciso di scambiarsi le loro opere e hanno rotto un muro che li divideva in una mostra, poi abbattuto, per darsi la mano.
A Gaza ha riaperto un panificio, subito circondato dalla folla.