Analisi, commenti, cronologie dopo due anni di guerra in Ucraina si sono affastellate sui media in questi giorni.
L’impressione è di una assurda, inquietante cacofonia in cui prevalgono tesi ideologiche contrapposte e valutazioni “sul campo” divergenti. La “vittoria” di Zelensky sarà certa perché Putin ha già perso da mesi (il direttore del Foglio). No, è vero il contrario: «Stiamo perdendo la guerra», titola il numero di febbraio di Limes, la rivista diretta da Lucio Caracciolo. Si riferisce per la verità non solo all’Ucraina ma alla “Guerra Grande” che ora coinvolge Israele e Palestina e tanti altri luoghi del mondo.
Ho apprezzato le due pagine della Stampa scritte sabato scorso da Domenico Quirico e dal Cardinale Zuppi. Il primo ricorda le migliaia e migliaia di morti – ma quanti sono davvero nemmeno lo sappiamo – e le tante bugie: «Hanno mentito tutti. Putin innanzitutto ha mentito: con i suoi propositi di denazificazione, le spacconate di poter fare un boccone dell’Ucraina […] Ha mentito Zelensky quando per dar credito alla propria figura di eroe dell’Occidente, di padre della patria, ha promesso al suo popolo che era possibile sconfiggere la Russia…». Quanto a noi «Usiamo la guerra, combattuta e pagata fisicamente dagli Ucraini per fare le nostre mediocri politiche interne, lucrare consensi e sondaggi, moltiplicando fedeltà atlantiche ad ogni costo per garantire il benevolo consenso americano». «Ma gli uomini, chiedo – è il grido finale – gli uomini?».
Il presidente della Conferenza episcopale italiana non cessa di occuparsi dei bambini ucraini, orfani, “deportati” in Russia, da accogliere anche in Italia. E non demorde da un impegno internazionale per il negoziato, per un cessate il fuoco: «Non possiamo abituarci e rassegnarci alla guerra».
Però il discorso politico pubblico – quello “privato”, persino di Giorgia Meloni se crede di parlare con un capo africano, riconosce la “stanchezza” per la guerra e l’ansia per una via di uscita – si ostina a vedere solo nella “forza” della armi la soluzione a cui votarsi. L’Europa, si ripete ossessivamente, deve armarsi per difendersi. Si chiede libertà di deficit pubblico non per recuperare il welfare perduto, ma per pagare i produttori di armi.
Chi è contro la guerra non dovrebbe sottrarsi a un interrogativo sulla “forza”. Rubando l’immagine al libro di una filosofa femminista (Alessandra Chiricosta) possiamo immaginare “un altro genere di forza” per un’Europa a cui provare a affezionarsi di nuovo?
Ricorderò ancora una volta che negli ultimi anni tormentati della sua vita Alex Langer, che amava sicuramente la pace e odiava la guerra, si era interrogato a fondo su questo punto. Elaborando col collega tedesco Ernst Gülcher la proposta di creare «un corpo civile di pace dell’Onu e dell’Unione Europea». Aggiungendo: «Alcune idee, forse anche poco realistiche».
Idee che non sono morte lì. In Italia qualche anno fa sono state anche votate in Parlamento: doveva avviarsi una “sperimentazione”, coinvolgendo alcune centinaia di volontari. Ma l’iniziativa non è mai stata finanziata.
Dei “corpi civili di pace”, secondo Langer dovrebbero far parte professionisti e volontari non violenti, uomini e donne, giovani e anziani, per azioni capaci di prevenire la guerra, e per costruire la pace dopo la guerra. Servirebbe una cultura molto ricca, una volontà molto forte. Se necessario collaborando anche con le forze armate delle Nazioni Unite. E in accordo con le parti in causa nei conflitti.
Non varrebbe la pena di riprendere quelle idee “anche poco realistiche”? Non rassegnarsi all’alternativa tra l’impotenza e la stupidità omicida delle bombe e i carri armati?