EMILY – Film di Frances O’Connor. Con Emma Mackey, Fionn Whitehead, Oliver Jackson-Cohen, Adrian Dunbar, Alexandra Dowling, Amelia Gething. Gran Bretagna 2022. Fotografia di Nanu Segal, costume di Michael O’Connor, musica di Abelkorzeniowski.
La regista Frances O’Connor, è un’attrice anglo-australiana che nel suo primo lungometraggio mostra la figura di una donna tormentata che, non sentendosi a suo agio nella “normalità”, fa delle scelte diverse nella vita.
Siamo nella prima parte dell’Ottocento in epoca vittoriana. Le tre sorelle Brontë – Charlotte, Emily e Anne – e il fratello Branwell (interpretato da Fionn Whitehead) vivono ad Haworth, una piccola comunità nello Yorkshire, con il padre Patrick (interpretato da Adrian Dunbar), un reverendo protestante tradizionalista rimasto vedovo e la zia Elisabeth, sua sorella. Branwell è un giovane artista allegro e piuttosto avventato. Charlotte (interpretata da Alexandra Dowling), la più grande e giudiziosa tra le sorelle, va ad insegnare in un paese vicino per incontrare un destino socialmente accettabile e così dovrebbe fare anche Emily (interpretata da Emma Mackey), che però, a causa dei suoi comportamenti troppo “strani” (forse malata?), viene rimandata a casa dopo qualche mese. Anne (interpretata da Amelia Gething) è la sorella più piccola molto legata ad Emily. Tutti i fratelli sembrano molto legati e fin da piccoli passavano le giornate a giocare sempre tra loro, inventando giochi fantasiosi e letterari. Amano tutti scrivere, chi poesie, chi racconti.
Tra Branwell ed Emily c’è un rapporto molto stretto, al limite del morboso. Lei si fa influenzare e coinvolgere nelle cose un po’ folli che lui fa. È sola, non fa amicizia facilmente, il suo unico amico è lui, l’unico che la capisce o almeno così a lei sembra.
Nella parrocchia di Haworth arriva un nuovo pastore, William Wieghtman (interpretato da Oliver Jackson-Cohen), destinato a scombinare gli equilibri domestici della famiglia Brontë. Emily da un lato non si fida di lui, dall’altra ne è attratta. William, a sua volta, riconosce l’unicità di quella donna che diventerà poi l’autrice del mirabile romanzo “Cime tempestose“. Emily individuerà nella profonda delusione sentimentale l’origine del libro che parla di un amore totalizzante.
Ho avuto la sensazione che il film sia girato più per gli amanti della letteratura che per quelli del cinema, nonostante l’ambientazione suggerisca foto molto belle: brughiera, pioggia, isolamento sono gli elementi naturalistici emergenti in una cupa luce nordica. La fotografia non è patinata, ma è realistica e sembra di sentire l’erba bagnata sulle mani, e perfino il vento che sferza le guance.
Negli ultimi anni molte sono le registe che hanno voluto reinterpretare delle figure femminili storiche in chiave anticonformista, se non proprio moderna. Greta Gerwig lo ha fatto con “Piccole donne” nel 2019, ma maestra tra tutte è Susanna Nicchiarelli con la sua trilogia: “Nico 1980”, “Miss Marx” e il recente “Chiara”. Solo che la Nicchiarelli ha un modo nuovo di far cinema, ricco di contaminazioni pop. Qui in “Emily” le riprese sono piuttosto convenzionali e le emozioni, anche quelle passionali, sono tutte relegati ai primi piani.