Pubblicato sul manifesto il 18 ottobre 2022 –
Ho trovato in libreria il bellissimo, terribile discorso di Svetlana Aleksievic pronunciato quando le hanno assegnato il premio Nobel, nel 2015 (Una battaglia persa, Adelphi, 2022). Ecco le parole finali: “Ho tre case: la mia terra bielorussa, che è la patria di mio padre e dove ho vissuto tutta la mia vita; l’Ucraina, che è la patria di mia madre e dove sono nata; e la grande cultura russa, senza la quale non riesco a immaginarmi. Ho care tutte e tre. Ma è difficile parlare di amore, di questi tempi”.
Certo, è difficile, molto difficile. Ma ho pensato che proprio quando vedere e nominare l’amore è un’impresa ardua, forse faremmo bene a girare intorno lo sguardo un po’ più intensamente, per trovarne almeno qualche traccia.
A me è successo per caso, guardando sere fa al cinema Aquila di Roma un documentario su una storia molto particolare. La narrano Roberto e Luca. Roberto è un signore alto e robusto, pelato, faccia simpatica. Faceva l’operaio ma a un certo punto si è interessato alle cooperative sociali. “Il mio desiderio mi ha spinto a cambiare…”. E così lo vediamo che accompagna qualcuno in carrozzella. Spinge le due ruote nello sportello posteriore aperto di un furgoncino modificato per trasportare quello strano passeggero che deve entrare già seduto. E Luca è proprio lui. Indossa spesso un berretto con la visiera e l’elastico dietro. Sotto, in quello spicchio d’ombra, brilla uno sguardo saputo che non dismette mai un velo di malinconia e di arguta ironia.
Dove vanno lungo le strade notturne della città di Roma?
Verso una sala da biliardo. Roberto così alto, e Luca insaccato nella sua carrozzina, usano abilmente la stecca, si divertono, si prendono in giro, non è ben chiaro chi vince e chi perde.
Ma a un certo punto scatta un’idea. Un nuovo desiderio. Perchè non coinvolgere altri signori o signore in carrozzina per giocare con la stecca e le boccette? E così la sala di giorno in giorno si affolla di altre carrozzine. Girano con abilità intorno ai biliardi, volano le stecche, il chiacchiericcio e spezzato dai secchi schiocchi (esiste questa parola?) prodotti dall’urto delle palle luccicanti.
Ed ecco che torna il desiderio e si rivolge a qualcosa che lì per lì sembra inpensabile. In Italia una volta il gioco del biliardo in carrozzina era contemplato nelle gare ufficiali, lo dimostra lo spezzone di un vecchio servizio degli anni ’60. Poi la cosa è finita. Forse perchè le sale da biliardo erano quasi tutte inaccessibili a chi si muove su due ruote? Oggi però è un po’ diverso. Si può ritentare.
Il “motore” di questo progetto incredibile sono sempre loro due, Roberto e Luca. “Tutto nasce da questa relazione.. sì, la relazione e il desiderio…”.
Incredibile ma vero. La proposta della piccola comitiva di signori e qualche signora in carrozzina ottiene udienza da chi dirige le organizzazioni sportive, e nel giro di appena due anni viene raggiunto l’obiettivo: diventa ufficiale il torneo del biliardo in carrozzina. Verso le Paralimpiadi!
Non sarà proprio amore, ma qui circola molta amicizia, molto affetto. I due amici, e gli altri e altre, hanno fatto Filotto! La fila di birilli è stata atterrata sul panno verde. Le vittorie si susseguono.
E Filotto! Cronaca di una vittoria è il titolo del documentario.
Non dovrei parlarne per via di un conflitto di interessi. Infatti la colonna sonora è stata composta da un certo Michele Leiss e dal gruppo “Violet and the butler”. Gli interessi però sono più che altro spirituali. Tutto il lavoro per girarlo è stato volontario. Da un’idea di Roberto Dell’Aquila, è stato realizzato dai registi Danilo Licciardello e Uliano Paolozzi Balestrini, montato da Francesca Bracci. Il cognome di Luca è Bucchi.