“Al cinema con l’architetto”, volume cinque di Ghisi Grutter (2022 Timìa Edizioni): nel volume, uscito dopo la pandemia (ma saremo davvero al dopo?) compaiono recensioni, elementi focali sul rapporto “città, cinema, società”, riflessioni su alcune serie televisive, sull’ “immagine urbana newyorchese protagonista”.
Ci passano davanti agli occhi i titoli (pochi) di film che sono comparsi grazie alle piattaforme, nei giorni di chiusura delle sale cinematografiche. Quando hanno riaperto lentamente, con il contagocce, sono comparsi titoli bloccati dal virus per uno, due anni.
Cinema liberato? Per la cerimonia di liberazione al Nuovo Sacher di Nanni Moretti arriva “Minari” (regia del coreano-americano Lee Isaac Chung). Brividi di eccitazione tra gli spettatori davanti all’ingresso. “Mi hai detto de venì a ‘sto coreano ma a me pure se c’era un film di Pupo, ce venivo lo stesso”.
Grande fame di immagini. Ghisi Grutter però scrive melanconicamente di prevedere “un trend irreversibile per cui le sale cinematografiche non avranno più il ruolo svolto a tutt’oggi”.
Vero è che la pandemia ha colpito duro. I produttori minacciano il suicidio; i distributori si strappano i capelli; le sale chiudono. Gli spettatori latitano: nei primi tre mesi del ’22 si sono venduti il 57% di biglietti in meno rispetto al 2020. E il 62% in meno rispetto al 2019.
Se è così, ragiona Ghisi, anche le recensioni cinematografiche andranno reinventate con un altro taglio, dovranno allargarsi alle serie.
La settima arte arretra per via dello streaming? Per via di Netflix, Prime Video Amazon, Apple Tv oppure Disney più HBO? Molti lamentano il fastidio di portare la mascherina, ma soprattutto siamo diventati più “domestici”, più pigri, più casalinghi: il cinema “me lo vedo a casa, comodo, sulla poltrona” così risparmio il costo del biglietto.
Tramonto ineluttabile, simile a quello degli androidi in “Blade Runner” di Ridley Scott?
D’altra parte, appena Netflix ha perso 200.000 abbonati (su 222 milioni, per l’abbandono del mercato russo) è stato giudicato un patatrac del modello industriale di quei dirigenti che si erano immaginati la sala cinematografica quale semplice mezzo di promozione di “contenuti” da consumare sul piccolo schermo.
Quanto al mecenatismo munifico delle piattaforme che producono “Irishman”, “Il potere del cane” e prima ancora “Roma” di Cuaron, somiglia tanto all’idea di trattare la politica autoriale da fiore all’occhiello .
Solo gli adolescenti rispondono bene ai super eroi famigliari da “Top Gun: Maverick” a “Doctor Strange nel multiverso della follia”.
Intanto, assistiamo alla rarefazione del cinema americano: i grandi studios ormai preferiscono riservare il lungometraggio ai festival.
Insomma, dalle sale al piccolo schermo, saremmo di fronte a un passaggio altrettanto violento di quello dal cinema muto al sonoro?
Non so. Prendiamo la prima parte del film di Bellocchio “Esterno notte” (la seconda uscirà a giugno e il tutto andrà in tv in sei puntate a ottobre). Quale effetto farà il “linguaggio Netflix” che frulla le contraddizioni delle storie mentre al cinema per esprimere dei concetti vanno calati negli oggetti o nelle immagini?
Il cinema (e il romanzo) rappresenta un grande laboratorio delle vite possibili, delle scelte impreviste, dei destini inattesi. Romanzo e cinema sono all’ascolto del mondo. Adesso, poi, i film suggeriscono un’urgenza testimoniale, pescano dal pozzo dell’informazione.
Penso a “Favolacce” dei fratelli D’Innocenzo oppure a “Fuocammare” a “Sacro Gra”, ai film sulle vite di scarto della globalizzazione, sui corpi feriti (dall’ “Odio” di Kassovitz alla “Diaz” di Daniele Vicari), sul rifiuto di Ken Loach fino ai fumetti di Zero Calcare.
Pier Paolo Pasolini dice che “il cinema si fa lingua scritta della realtà”. Si occupa del presente.
Un presente dove conta la figura femminile e si possono rintracciare le impronte del femminismo con la trasformazione radicale dei rapporti amorosi e sociali.
Nella nuova versione di “West Side Story” di Spielberg oppure nel film di Mundruczo “Quel giorno tu sarai” e ancora nel riuscire a materializzare il desiderio (“In the Mood for Love”, “Happy Together” di Wong kar Wei al recente “Tromperie. Inganno” di Arnaud Desplechin).
Insomma film che cercano di rispondere a una domanda radicale “Che cos’è che sta accadendo oggi?”
Con i film uomini e donne possono immaginare una fine diversa delle storie e dunque della storia di ognuno di noi.
Una sorta di magia nella sala buia con un fascio di luce su uno schermo bianco: ricordate gli spettatori che ripuliscono la pellicola in “One Second” di Zhang Yimou? Ecco, questa è la passione per il cinema.