FULL TIME – AL CENTO PER CENTO – Film di Éric Gravel con Laure Calamy.
Macron, se volesse affrontare la rabbia dei francesi: di quanti si sono astenuti, di quanti lo considerano un borghese supponente e lo accusano di aver causato “la fracture” tra ricchi e poveri; tra periferie e centro; tra elites e popolo, dovrebbe andare al cinema. Per vedere i film (tanti) realizzati sul lavoro e sugli invisibili.
Perché si tratta proprio di invisibili, di cancellati, precari, dimenticati in una attività mal pagata, dai ritmi massacranti, comunque umiliante. La fabbrica è lontana, il sindacato sconosciuto.
Di questo si parla nel cinema francese.
Prendiamo “Full Time” di Éric Gravel, sceneggiatore e regista franco-canadese, con Laure Calamy premiata alla Mostra del cinema di Venezia, nella sezione Orizzonti, per la migliore interpretazione femminile, Gravel per la migliore regia.
Qui la protagonista, madre separata, due figli lasciati all’alba da una vecchia signora e ripresi la sera, corre (da fuori Parigi dove vive) per raggiungere il posto di lavoro e poi tornare a riprendere i bambini, precipitarsi al supermercato.
Ex marito uccel di bosco, banca che la tampina, capocameriera di un albergo a cinque stelle, posto poco gratificante, tradita dalla collega che dovrebbe coprirla, maltrattata dalla capa che nella catena di comando conta poco di più di lei ma quel tanto che le serve a ricattarla: “Se non hai più voglia di pulire la merda dei ricchi questo non è un posto per te”.
La macchina da presa aderisce al suo affanno; cattura il tempo, la fretta, l’ansia quasi raccontasse un thriller. Ecco la quotidianità di una donna il cui corpo, la cui mente tendono alla manutenzione dell’esistenza altrui.
Succede in “Full Time” e succede in “Tra due mondi” (regia di Emmanuel Carrére con Juliette Binoche): rifare i letti di una cabina in meno di due minuti, ripiegare gli angoli alla sopra coperta, pulire i bagni, i pavimenti, i gabinetti, mettere il rotolo di carta igienica, in questo consistono i cosiddetti “lavori di cura”, le mansioni svolte dalle donne giacché gli uomini non hanno mai mostrato interesse a sperimentarli.
Come avrete capito esistono assonanze, rimandi, fili che si intrecciano e che legano questi film tra loro.
Le protagoniste femminili, il tempo, il corpo macerato, il suono del conflitto. Quello dei Gilets jaunes che ha attraversato la Francia dilatandone le contraddizioni.
Uno dei tanti scioperi, una delle tante manifestazioni paralizza i trasporti pubblici e impedisce alla protagonista di “Full Time” la ricerca, magari, di un futuro migliore.
E lo scontro sociale in “Parigi, tutto in una notte” (regia di Catherine Corsini con Valeria Bruni-Tedeschi) rimanda alla “frattura” di un gomito, di una coppia, a quella di un Paese, diviso tra solidarietà e rancore, partecipazione e risentimento.
A proposito di solidarietà, la perdita di senso delle relazioni è conclamata. La giornalista di “Tra due mondi” che ha deciso di infiltrarsi per scrivere il suo libro come addetta alle pulizie sui traghetti che attraversano la Manica, viene accusata di aver tradito l’amicizia e la fiducia che le altre le avevano consegnato mentre la catena di comando preme sulle donne e sugli uomini.
Nel film “Un altro mondo” (regia di Stéphane Brizé con Vincent Lindon), storia di un manager in lotta con una multinazionale per difendere la sua dignità, è palese che bisogna sempre rendere conto a qualcuno che sta sopra.
La lente d’ingrandimento del cinema ha la capacità di materializzare l’obbedienza e l’ingiustizia, rendendole affilate, taglienti ma senza lanciare messaggi o proclami. Piuttosto, consegna qualche pezzo di verità da ricordare.