Si è svolto mercoledì 23 marzo, in presenza alla Casa internazionale delle donne di Roma, e su zoom, il primo degli incontri proposti dal Gruppo delle femministe del mercoledì su “Il tempo che abitiamo”, con il titolo “La cura maltrattata”. Pubblichiamo qui l’intervento introduttivo di Fulvia Bandoli, che ha aperto la discussione insieme a Giulio Marcon.
Sono poi intervenute/i tra altri e altre Paola Patuelli, Andrea Capocci, Lia Cigarini, Valeria Ribeiro Corossacz, Marco Deriu, Sara Gandini, Alberto Leiss, Edoardo Turi, Denise Amerini, Francesca Farruggia, Bianca Pomeranzi e Maria Luisa Boccia. I prossimi appuntamenti riguarderanno “Corpo tra inviolabilità e fragilità”, “Libertà al tempo del Covid”, “Il tempo che abitiamo”.
La registrazione integrale dell’incontro sulla “Cura maltrattata” si può vedere su Facebook a questo link: https://fb.watch/c4kittmHeS/
Avevamo deciso questo ciclo di incontri prima dello scoppio della guerra e il primo,
“La cura maltrattata”, doveva essere incentrato soprattutto sul dopo pandemia, anche se non è ancora del tutto finita. Ma un mese fa Putin aggredisce e invade l’Ucraina e oggi siamo davanti a una guerra, che mette a dura prova il popolo ucraino prima di tutto ma anche noi e l’Europa, e dunque affronterò entrambi i temi.
Porterò alla discussione alcune riflessioni, e mi porrò e porrò a voi alcune domande.
Cosa ha messo in evidenza la Pandemia per me?
Certamente l’isolamento e il rarefarsi delle relazioni, degli scambi e del contatto con i corpi delle altre e degli altri, ha messo a nudo la mia fragilita’ e il mio pensare e agire si e’ fatto piu’ asfittico.
Ma ho capito meglio anche altre cose: che non era una guerra contro un virus e che non stavamo in nessuna trincea, usare quel linguaggio, come alcuni fecero, soprattutto alla luce degli eventi di questi giorni, era davvero improprio. Si trattava piuttosto di un ribellarsi della natura, o del vivente non umano, alla nostra secolare incuria.
Ho inoltre scoperto la mancanza clamorosa di una rete territoriale di presidi sanitari per tutte e tutti e la solitudine di affrontare il Covid , da sola, con un telefono e la speranza che qualcuno ti risponda dall’altra parte del filo.
Ho toccato con mano l’estensione del lavoro precario che ha retto in gran parte le nostre vite durante i mesi di lockdown e di quanto sia insicuro, sfruttato e sottopagato: i riders, le cassiere, le infermiere, le badanti, i braccianti agricoli. E ho visto anche l’organizzarsi di reti spontanee di volontariato tante volte create da gruppi di donne.
E poi il drammatico confinamento dei “molto anziani” in luoghi (le Rsa) che sono quasi sempre pensati e organizzati in modo da spegnere qualsiasi relazione umana e interpersonale. Tutti aspetti assai bene affrontati nel libro di Letizia Paolozzi e Alberto Leiss “ Il silenzio delle campane. I virus della violenza e la cura” (Harpo 2021).
Ho guardato con allarme i dati crescenti della violenza verso le donne in famiglia, perche’ ancora moltissimi uomini non accettano e non sanno relazionarsi con la libertà femminile, soprattutto se sono costretti a farlo quotidianamente.
Certo per fortuna abbiamo anche vaccinato tanto (dopo il primo tragico anno senza vaccini e con un numero di vittime impressionante) ma la pandemia ha dominato anni della nostra vita e il vaccino non è stato per tutti i popoli come ha scritto tante volte e assai bene Andrea Capocci nei suoi articoli sul manifesto.
E per le prossime pandemie o epidemie che dovessero venire la Sanita’, i luoghi di vita per gli anziani, le scuole che non hanno sistemi di aerazione, e le fabbriche e i mezzi pubblici andrebbero rivoltati davvero come calzettini. E per farlo servono risorse pubbliche e private enormi. Ma rileggendo il PNRR non si vedono queste scelte, quanto piuttosto tante tratte di Alta velocità, tante strade, tanta informatizzazione, pochissime rinnovabili, e non abbastanza risorse per il Servizio Sanitario Nazionale pubblico.
Perché parliamo di Cura maltrattata? Perché si è abusato tanto del termine Cura (ma sempre con accezione medico sanitaria: posti letto ,cure mediche ,vaccini, protezioni o in senso assistenziale, verso alcuni soggetti fragili).
E invece proprio la Cura del Vivere, di tutto il Vivere in ogni sua piega e dimensione, come la intendiamo noi del Gruppo del Mercoledi fin dal nostro primo testo di vari anni fa, è stata appunto maltrattata, o proprio non compresa.
La cura del Vivere come io la penso non è tanto o solo lavoro di cura; e’ una sorta di chiave interpretativa e di pratica politica per capire e anche per cambiare lo stato di cose presenti, cura e conflitto dunque sono legati e molti dei terreni che ho richiamato esigono conflitti.
C’e’ ad esempio, per me ecologista e per molte scienziate, una relazione evidente tra come alleviamo intensivamente gli animali e il tipo di agricoltura che facciamo e il diffondersi di virus sempre diversi e pericolosi, cosi come c’e’ un nesso tra quante emissioni produciamo nell’aria e il clima che cambia obbligando milioni di persone a migrare.
Ma oggi , dopo la guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina tutto cio’ che ci pareva di avere imparato dalla Pandemia e tutti i cambiamenti che dovevamo fare con urgenza sembrano improvvisamente dimenticati .
I governi, gli Stati, i politici, le politiche economiche e i bilanci e i capi di governo pare riescano ad affrontare solo un tema alla volta. Prima era solo la Pandemia e ora è solo la guerra. L’interdipendenza torna ad essere materia e pratica sconosciuta. In 20 giorni abbiamo deciso di riarmare l’Italia e tutta l’Europa, gia’ molto armate e che vendono armi a tutte le guerre in corso. E di riaprire le centrali a carbone, scordandoci quanto il cambio climatico sia devastante e quante migrazioni produca anch’esso.
La escalation di queste ore da un lato e lo stallo impotente dei colloqui di pace dall’altro, confermano ciò che noi femministe sappiamo da molti anni: senza relazioni tra le persone, i corpi e gli Stati e senza correlazione tra i vari temi prevale solo la gestione del potere e la retorica militarista da entrambe le parti.
Per me violenza sulle donne, guerra, pace, disarmo, pandemia sono temi cruciali che erano e resteranno legati per molto tempo. Chiamano in causa alcuni nodi fondamentali del femminismo della differenza e della lotta al patriarcato e di come viene gestito il potere nelle sue varie forme.
Ho avuto alcun giorni incerti all’inizio del conflitto e ho pensato che quel popolo avesse bisogno davvero di armi per resistere, poi ha preso il sopravvento la mia cultura non violenta, Aldo Capitini, Etty Hyllesum, Germaine Tillion, Mandela, Pietro Ingrao e Angela Davis. E ho ricominciato a vedere con chiarezza tutte le altre forme possibili di resistenza non armata, quelle delle femministe russe, della giornalista russa che si insubordina e si espone in Tv, delle donne italiane e europee che hanno manifestato l’8 marzo contro la guerra, di quelle che se ne vanno dall’Ucraina non solo per mettere in salvo i figli ma per salvare anche la loro vita, e ultimamente anche degli uomini ucraini e russi che disertano perche’ si rifiutano di uccidere. Molti sono stati fermati e arrestati proprio nei giorni scorsi.
Il linguaggio militarista che domina da giorni tv e giornali italiani è assai pesante con chi si colloca su queste posizioni.
La guerra desertifica le citta’ ma scarnifica anche il linguaggio e bandisce la tolleranza reciproca. Se condanni Putin e sostieni l’Ucraina ma vuoi fare di tutto perché si arrivi a una tregua e a una trattativa allora tu, che magari sei tra quelle che lo criticano da venti anni come autocrate antidemocratico, improvvisamente stai con il diavolo. E invece condannare, resistere in forme non violente e trattare sono cose che stanno insieme perché come scrive Anna Bravo “il sangue risparmiato fa storia come il sangue versato”.
In questo pessimo clima smarriscono il loro senso originario anche le parole. Se dici che Putin e’ Hitler, che in Ucraina c’è un Olocausto o che l’Ucraina e’ come Auschwitz, con queste “parole fine del mondo” bruci tutti i ponti per ogni eventuale dialogo. Leggendo molti giornali italiani e ascoltando varie tv sembra di essere tornati alla “bella guerra” e ai “poeti soldati”.
E in questa bolla scompare anche il fatto che non solo le dittature ma anche i governi democratici, e anche noi Italiani e Europei insieme a Nato e Stati Uniti, ci siamo macchiati di guerre e aggressioni orrende che hanno fatto decine e decine di migliaia di vittime civili. Nessuno è innocente.
Dopo la seconda guerra mondiale che liberò il mondo dal nazifascismo e ristabilì la democrazia in molti paesi, con la scoperta dell’atomica, tutto cambiò. Anche il modo di fare le guerre è cambiato, con quella minaccia sopra la testa.
Ho pensato all’Afghanistan il più infelice paese del mondo devastato da 40 anni di guerra, ma anche a molti altri, Iraq, Siria, Libano, Libia, Somalia, Georgia, Cecenia, Yemen. Nessun paese attraversato da una guerra è riuscito a rinascere, nessuna guerra ha risolto conflitti o confini.
Non possiamo far finta che non sia vero.