QUEL GIORNO TU SARAI – Film di Kornél Mundruczó. Con Éva (Lina Monori). Léna (Annamária Láng) Jónás (Goya Rego), Padmé Hamdemir, Jule Böve, Ungheria 2021. Fotografia di Yorick Le Saux.
Un giorno parlando con uno psicoanalista mi disse che ci sarebbero volute tre generazioni per superare l’orrore dell’Olocausto. Il film “Quel giorno tu sarai” sembra parlare proprio di questo.
“Evolúció”, il titolo in originale, è diviso in tre parti dove in ognuna è protagonista un componente di una famiglia ebraica: la nonna, la figlia e il nipote.
Nonna Éva è nata ad Auschwitz e sua madre, prima di essere deportata, era un’ebrea ungherese che faceva il medico. La prima scena si svolge proprio nelle camere a gas di Auschwitz nel 1945, alla fine della guerra. Con un unico piano sequenza il regista ungherese mostra tre polacchi che stanno ripulendo i muri e i pavimenti ritrovando vari reperti appartenuti alle persone uccise lì. Improvvisamente sentono il pianto di una bimba venire dal basso e la ritrovano nascosta sotto un tombino. Una volta fuori chiedono ai russi l’intervento di un medico: Éva è sana e salva. Si chiude il primo episodio con una panoramica che mostra le baracche innevate del Lager dall’alto e che sembrano infinite. Questa prima parte narrativa è basata su un romanzo di Imre Kertész (premio Nobel per la letteratura nel 2002) in cui racconta come la Croce Rossa polacca si occupasse – dopo la liberazione da parte dell’esercito russo – di ripulire i campi, e del fatto che durante il loro lavoro venissero ritrovati molti bambini vivi.
Il secondo episodio, forse psicologicamente il più intenso, è una sorta di pièce teatrale in cui dialogano Éva, la madre, e Léna, la figlia, all’interno dell’appartamento materno a Budapest. La figlia rinfaccia alla madre un’infanzia infelice denotata da una certa anaffettività, mentre Éva narra a sua volta la propria, che è stata atroce. Inoltre, c’è di mezzo una sorta di “risarcimento” che lo Stato ungherese ha deciso di dare agli ebrei che hanno vissuto o avuto famigliari nei campi di sterminio. A tale scopo c’è da mostrare il certificato di ebraitudine della nonna. Éva non ne vuole sapere di “speculare sui morti”, mentre la figlia è venuta in aereo da Berlino appositamente per questa cerimonia. Mentre cerca il certificato dice in modo tristemente ironico: «Prima che non potevamo, eravamo ebrei, adesso che possiamo, non lo siamo più..».
Il terzo episodio, girato in una zona residenziale della Berlino attuale, mostra le difficoltà relazionali di Jónás, il nipote adolescente, sia a scuola sia con gli amici. In quanto ebreo viene deriso e vive la sua diversità con grande disagio, specialmente nel giorno della festa di San Martino celebrata in Germania con particolare enfasi. Infatti lì la sera dell’11 novembre, il santo viene ricordato con suggestive processioni di lanterne. Si cammina cantando e spesso a guidare il corteo c’è un ragazzo a cavallo, che impersona proprio San Martino. «Sono tedesco o sono ebreo?» chiede alla madre Jónás che vorrebbe affrancarsi dal quel peso che ha sempre aleggiato nella sua vita.
Il film parla dunque di diversità, di ebraitudine, di integrazione, di razzismo e, solo in chiusura la sceneggiatrice Kata Wéber lascia uno spiraglio di speranza. Kornél Mundruczó, infatti, è un regista ungherese che gira film insieme alla compagna Kata Wéber in qualità di sceneggiatrice. Si è fatto una certa notorietà con il film “Pieces of Woman”- distribuito da Netflix – ambientato durante un lungo inverno a Boston e ispirato a un’esperienza vissuta da lui stesso. Il film narra di una coppia che aveva deciso di partorire in casa ma la bambina era vissuta solo pochi minuti, e mostra i modi diversi di vivere il lutto nei mesi successivi al triste evento. Anche lì c’è un riferimento ad Auschwitz in quanto la mamma di lei era nata proprio lì in pieno Olocausto.
Nonostante il realismo della regia, ottenuto anche attraverso l’uso di lunghi piani-sequenza, c’è sempre qualcosa di visionario e di grottesco nelle opere del regista ungherese – pieces teatrali o film che siano – che qui si cimenta con il trauma della Shoah, attraverso tre generazioni.
Anche in questo film, com’è stato per quello precedente, ritroviamo Martin Scorsese nelle vesti di produttore esecutivo. La pellicola è applaudita fuori concorso a Cannes nel 2021, ha inaugurato il Trieste Film Festival 2022. Gli attori sono tutti molto bravi: l’interpretazione di Lina Monori è stata paragonata da alcuni critici addirittura al livello di Antony Hopkins in “The Father- Nulla è come sembra” che, proprio con questo film, ha vinto l’Oscar 2021 come migliore attore.