Marta Cartabia e Elisabetta Belloni
Con il bis di Mattarella all’ottava votazione, molti hanno respirato di sollievo. Per primi i parlamentari che non volevano rischiare le elezioni anticipate. Lo sfascio temuto non si è realizzato; i cocci restano incollati insieme. Non si assisterà all’implosione dell’attuale esecutivo.
Certo, resta sullo sfondo la necessità di una nuova legge elettorale (che prevedibilmente sarà proporzionale) mentre qualcuno aborre e altri auspicano una forma di governo semipresidenziale, alla francese. Questa settimana ha mostrato plasticamente il peso di una liturgia stritolata tra maratone, dirette, WhatsApp e pettegolezzi dei Grandi elettori; l’opacità di un metodo superato.
Comunque, la maggioranza si tiene insieme; la minoranza si difende nei suoi confini. A un anno dal voto, crepe profonde solcano i 5 Stelle; se la Lega aveva baldanzosamente affermato “Tocca a noi”, adesso ne soffre i postumi; Conte e Salvini si sono rincontrati e rincuorati a vicenda ma con risultati deludenti.
Forza Italia annuncia di voler procedere autonomamente. Giorgia Meloni promette di lavorare per rifondare il centrodestra “a pezzi” mentre il Pd, senza prendersi grandi rischi può cantare le lodi del suo segretario, Enrico Letta e Leu si congratula con il suo ministro Roberto Speranza. Intanto, per la nebulosa del centro pare si apra una verde prateria. Silvio Berlusconi torna essenziale; i tentativi di puntare sul tecnico contro il politico, hanno rivelato la debolezza del populismo anticasta. In effetti, è Matteo Renzi a dichiarare che il Mattarella bis sancisce proprio la sconfitta dei populisti mentre racconta del caffè con Letta: nessun patto segreto tra lui, l’ex rottamatore, e la presidente del Senato così desiderosa di salire più in alto.
Il premier che per due mesi – dalla conferenza-stampa del “nonno al servizio delle istituzioni” – aveva abbandonato l’abituale distanza nei confronti delle ambizioni nutrite dai leader di partito, adesso si è rinfilato l’abito di un anno fa. Con un po’ di autorità in meno?
Un panorama, tra chi decide o non riesce a decidere, come sempre tutto maschile.
Le uniche voci dissonanti dal clima per ora tendente al sereno, sono state quelle delle femministe che hanno lamentato la solita maschia sordità, i nomi bruciati, le candidate femminili mandate al macero. Tuttavia, Elisabetta Alberti Casellati: Oh perché non ha mai smesso di appitonarsi sul cellulare durante lo spoglio delle schede? e Elisabetta Belloni, non sono delle sprovvedute. Considerarle vittime della
mala education maschile non corrisponde al vero, non fa loro un complimento e non aiuta a spiegare la difficoltà che sicuramente le donne incontrano rispetto alla conquista dei posti apicali nelle istituzioni.
Francesca Zajczyk (
su www.ingenere.it del 27/01/2022) ricordava i paesi: Danimarca, Norvegia, Finlandia, Germania, Taiwan, Islanda, Nuova Zelanda al cui vertice figure femminili hanno saputo affrontare meglio la pandemia, per non parlare di quante ricoprono ruoli importanti in Europa nel campo economico-finanziario.
Conservatrici in numero maggiore, progressiste in numero minore, sembra comunque che le leader sappiano esercitare il potere in modo assennato, fattivo, concreto. Vero è che nel Parlamento italiano le donne hanno difficoltà a tessere accordi, patti, a prepararsi per tempo. Qualcosa le trattiene dal dichiarare le proprie ambizioni. Restano coperte dall’ala di protettori infidi.
Quanto alle femministe non sono riuscite a tirare fuori un nome (forse temendo scontri e dissapori interni) oppure una rosa di nomi femminili.
A me dispiace che nel 2022 al Quirinale sia andato per l’ennesima volta un uomo (Marta Cartabia non avrebbe avuto le carte in regola?) ma che, in modo pasticciato, incompetente, sprovveduto, alcuni uomini se ne siano venuti fuori con un nome femminile la considero la novità di questa elezione quirinalizia. D’altronde, nella Compagnia dei “camalli” di Genova (nata l’11 giugno del 1340), per la prima volta una donna, Francesca Ceotto, ricopre il ruolo di viceconsole.
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