Rosa / Nero

uomini e donne nella cronaca di tutti i giorni

Papà come zeppole alla crema

23 Marzo 2007
Questa rubrica è uscita su Europa il 21 marzo 2007
di Franca Fossati

Doveva essere il giorno dell’orgoglio paterno, il Daddy’s pride che avrebbe sfilato trionfante a Roma in via dei Fori Imperiali per approdare davanti al Ministero delle Pari Opportunità e chiedere una “Casa del papà” che aiuti i padri in difficoltà affettive ed economiche (www.figlinegati.it). La data era ben scelta: il 18 marzo, il giorno prima della festa di San Giuseppe (ovvero la festa del papà), pochi giorni dopo l’anniversario dell’approvazione della legge sull’affido condiviso. Peccato che fosse la stessa data della Maratona di Roma con i suoi 60 mila partecipanti, uomini e donne, lo striscione per Daniele Mastrogiacomo e i tremila nonni dei centri anziani della città. La protesta dell’Associazione ‘Figli negati’, ‘Papà separati Lombardia’ e ‘Caro Papà’ per “difendere il diritto inalienabile di ogni bambino ad avere due genitori e quattro nonni, per sempre” è rimasta un pò annegata tra i maratoneti (Il Messaggero, 19/3). Anche se aveva avuto uno sponsor di tutto rispetto: Marcello Veneziani su Libero (18/3), con un lungo articolo che era insieme lamento ed invettiva. “Pianta ornamentale, bancomat e inseminatore marginale”, ecco a cosa è ridotto un padre, dice l’editorialista, tra i Dico e la parificazione dei figli illegittimi, all’ombra dell’inseminazione artificiale, circondati da “femministe, magistrate, avvocate e menadi scatenate”, privati di diritti, soffocati dai doveri. Ridotto oramai come le zeppole e i bignè di san Giuseppe, “il Papà è fritto, morbido, obeso di crema, sporca, sta sullo stomaco e aiuta la glicemia”. Una frustrazione così acuta va compresa, tanto più che, secondo un’indagine dell’Istituto di ricerca Gpf, il 90, 5 per cento dei papà italiani si dice disposto a qualunque sacrificio per i propri figli, più delle mamme che non arrivano all’89 per cento. (Ansa, 17/3). Sacrifici sì, purchè non si tratti di interrompere il lavoro. Nel 2005 (ultimi dati disponibili), 117 mila donne hanno usufruito dei congedi facoltativi per assistere i figli contro poco più di 5 mila uomini. E il dato è in calo, soprattutto in Lombardia (Corriere della sera, 20/3). Ma le madri, come ci rammentano le cronache di questi giorni, non sono sempre buone.
Sarà perché, come scrive Umberto Galimberti su D (La Repubblica delle donne) rispondendo a una lettrice, “nella donna si dibattono due soggettività antitetiche”. Una che dice ‘io’ e un’altra che fa sentire la donna ‘depositaria della specie’ ”. Ogni figlio, scrive Galimberti, “ si nutre del sacrificio della madre: sacrificio del suo tempo, del suo corpo, del suo spazio, del suo sonno, delle sue relazioni, del suo lavoro, della sua carriera, dei suoi affetti…”. Eppure, racconta Lia Cigarini (www.donnealtri.it), “un gruppo di giovani donne interrogate sulle loro priorità tra lavoro fuori casa e lavoro di cura, hanno risposto rifiutandosi di fissare alcuna priorità”. Questa risposta più che “esempio di ambivalenza” può essere letta come “un doppio sì al lavoro e alla maternità, cioè l’affermazione di un altro modo di pensare il lavoro”. Se le nuove madri cominciano a ridefinire se stesse e a guardare in modo non antitetico la loro “doppia soggettività”, forse è ora che anche i padri la smettano di lamentarsi del potere perduto e trovino un senso nuovo, attuale, della paternità. Perché, come dice l’inchiesta dell’ultimo numero di Famiglia Cristiana, “padri si diventa”.

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