Con l’intervento degli insegnanti, della Cgil, del console pakistano, Jamila, studentessa a Brescia, è tornata a scuola avvolta in un velo bianco, sotto le telecamere. “Negli occhi la voglia di libertà”, titola Il Giornale (19 aprile). Negli occhi. Non troppo nelle parole a leggere quanto ha dichiarato in una sorta di conferenza stampa controllata a vista dai familiari.
“Salviamo Jamila prigioniera del padre islamico” (16 aprile) aveva scritto proprio Il Giornale (16 aprile). In realtà la ragazza il padre non lo aveva più, ucciso da un infarto in fonderia.
A segregarla in casa, con la forza della tradizione più che della violenza fisica, pare, erano la madre e i fratelli. Segregata perché troppo bella e perché promessa sposa a un cugino in Pakistan che avrebbe potuto salvare la famiglia dal disastro economico.
La sua storia, o una piccola parte di essa, l’aveva ricostruita Elvira Serra su Il Corriere della Sera (18 aprile). «Promessa in sposa per pagare il mutuo». Ma Jamila nega, assicura che il marito se lo sceglierà lei, con il consenso dei familiari, s’intende.
Ma la cittadinanza sì, quella la vorrebbe. Tema centrale questo, a cui aveva fatto cenno anche Souad Sbai, deputata di origine marocchina: per tutelare i giovani della seconda generazione bisogna sottrarli al ricatto del permesso di soggiorno (Il Giornale, 17 aprile).
Tempi contraddittori questi per le donne del mondo islamico. Su D, la Repubblica delle donne, Francesca Caferri ci fa incontrare Asma Mahfouz, l’egiziana di 26 anni, che con un appello su youtube divenne «la miccia» della rivoluzione egiziana (New York Times). «Prima mia sorella si vergognava di me. Mio fratello più grande, che è nell’esercito, mi chiamò per ordinarmi di fermarmi. Quello minore, poliziotto, già non mi parlava da due anni per il mio impegno politico. Mia madre non era convinta. Solo mio padre mi difendeva». E ora, dopo quel fatidico 25 gennaio, «mia sorella va in giro a dire che sono sua parente. E i miei fratelli mi chiedono di intercedere perché vengano promossi».
Asma sa che il cammino è lungo, ma non l’hanno spaventata neanche le violenze contro le donne che hanno manifestato l’8 marzo scorso: «Erano squadracce dell’ex regime». Ci vorrà tempo, però, per far partecipare le donne alla politica. Alle prossime elezioni le candidate saranno poche. Ma Asma è ottimista.
Nessuna candidata invece in Arabia Saudita. Per la seconda volta della loro storia i sauditi potranno eleggere la metà dei membri dei consigli municipali. I sauditi, non le saudite. Per loro ancora nessun diritto di voto. Ce lo ricorda Franco Venturini su Io Donna.