«Mi chiamo Maurizio Landini e da qualche mese sono il segretario generale della Fiom. Con molta onestà devo dire che di quello che sto ascoltando non ho conoscenza, per me è una novità». E di cosa Landini ha dichiarato con la franchezza che lo contraddistingue di non sapere nulla? Della riflessione femminista sul lavoro. L’occasione è stato l’incontro dell’8 aprile a Milano organizzato dall’Ars, Associazione per il rinnovamento della sinistra, intitolato “Vite al lavoro. Donne e uomini nella crisi: letture e proposte del femminismo italiano”. Un’occasione importante e fruttuosa da molti punti di vista, sia per la pluralità delle voci femministe animate dall’esplicita volontà di trovare spazi comuni: «L’intensificarsi dello scambio serrato è l’unico strumento che può dare spunti sia di teoria che di linguaggio innovativo, » è stata la proposta di Lia Cigarini. Sia per la sponda rilanciata da Landini, che dopo la dichiarazione iniziale si è lanciato nella sua interpretazione di interventi ascoltati e testi attentamente letti, offrendo una disponibilità a nuovi confronti.
Ma procediamo con ordine. Coordinato da Piero Di Siena, il dibattito è stato aperto da Maria Luisa Boccia e Alberto Leiss. Al centro tre testi, il Sottosopra della Libreria delle donne di Milano “Immagina che il lavoro”, l’appello “Se sessanta ore” per la autocertificazione dei lavori delle donne, il libro “L’emancipazione malata”, una raccolta di scritti provenienti dai seminari della Libera Università delle donne di Milano. «Trovo in questi testi un nucleo forte di pensiero femminista che obbliga a cambiare il punto di vista di donne e uomini sul lavoro» ha detto Maria Luisa Boccia. È la critica e la ridiscussione dei nessi tra vita, tempo, qualità del lavoro, tra welfare e cura, insomma la volontà di mettere in discussione l’organizzazione maschile del lavoro a partire dalla propria autonoma soggettività che accomuna riflessioni e pratiche politiche che, lontane nel passato, hanno trovato proprio nel lavoro un terreno di incontro. «Naturalmente» ha argomentato Maria Luisa Boccia, «c’è un contrasto tra chi punta sull’espressione del desiderio della libera soggettività femminile e tra chi ritiene si debba partire dalla sofferenza femminile che la globalizzazione produce. In ogni caso non è possibile produrre modificazioni così radicali senza individuare dove si possano aprire conflitti efficaci. Oggi che viene richiesta a tutte e tutti, non solo nel lavoro precario, una disponibilità senza limiti, è importante stabilire quali sono gli strumenti. Rappresentanza, legge, contratto vanno messi in discussione».
Occorrerebbe un sindacato diverso, è l’idea di Alberto Leiss «che non si occupi solo del lavoro direttamente produttivo, come successe a Genova quando si stabilì un rapporto con le donne di Cornigliano contro i fumi dell’Italsider». E se se pensiamo che ci sia troppo disordine per produrre cambiamenti «dovremmo ricordarci che siamo testimoni del fatto che è possibile reagire, che le azioni di singole persone possono avere esiti imprevisti. Come dice Marx, il punto non è interpretare il mondo, ma cambiarlo». Dal canto suo Lea Melandri vede nel nesso amore-lavoro il terreno per il cambiamento del destino femminile: «Sono saltati i confini tra pubblico e privato, anche il populismo e il personalismo che pervadono la politica si fondano su questo discorso pubblico che invade il privato. Per questo è necessaria una risposta collettiva. Se il fine è la buona vita» ha concluso «tutto il tempo deve essere incanalato nel lavoro?».
Diversi accenti si sono susseguiti nei vari interventi. L’inganno paritario (Marisa Nicchi), lo snodo tra conflitto di classe e conflitto di sesso (Maria Grazia Campari) la reticenza del sindacato all’elaborazione politica femminista (Giordana Masotto), la centralità del lavoro precario e la necessità di alleanze, per mettere in comune saperi (Elettra Dejana), mentre Michela Spera ha ricordato la discussione aperta tra parità e differenza nell’ultima assemblea delle donne Fiom. Dall’esperienza sulla legge per i tempi della città Rossella Bonfiglioli propone un nuovo contratto sociale, che si configuri sul riconoscimento che la cura è lavoro e che tempi di lavoro e tempi di vita sono da ricomporre». Di gender budget e bilanci di tempo si sono occupate sia Paola Melchiorri, «abbiamo de-invisibilizzato tutte le materialità che permettono il lavoro, comprese le donne che puliscono i vetri dei grattacieli di New York», sia Antonella Picchio che ai diversi femminismi e al sindacato ricorda «che è sempre fondamentale capire come si riproduce il corpo dei lavoratori e delle lavoratrici».
Un terreno difficile per un sindacalista che in ogni caso «deve offrire risposte sempre molto parziali a problemi immediati» come ha sottolineato Aldo Tortorella, E qual è il punto più difficile, per Maurizio Landini? Mettere insieme libertà, desiderio e la frantumazione della vita di donne e uomini che la crisi porta con sé: «Non credo alla possibilità alla contrattazione individuale, troppa disparità di potere». E differenza, lavoro di cura? «Molto interessante, ma come si fa valorizzare la differenza quando il lavoro è al suo punto di massima svalorizzazione? Bisogna pensarci». Landini ha aperto sul reddito di esistenza: «Sono sempre stato contrario ora ne vedo meglio il senso, forse più come reddito di cittadinanza». Allora niente da fare? Il sindacato prosegue sulla sua strada del lavoro unicamente a tempo indeterminato? «Di sicuro occorre un di più di democrazia» recupera Landini «qui sento una necessità, un nuovo bisogno di un’estensione degli spazi di democrazia».
In chiusura della giornata l’intervento di Eleonora Meo, di “Diversamente occupate” , tra le promotrici della manifestazione dei precari Il nostro tempo è adesso. Lavita non aspetta: «Per noi non c’è conflitto tra diritto, simbolico, pensiero. Solo se si hanno pretese molto alte si esce dal ricatto che ti schiaccia e qualcosa si muove, solo se non ti fai schiacciare sul presente si può immaginare il futuro»
Questo articolo è stato pubblicato su Il Manifesto