Pubblicato sul manifesto il primo dicembre 2021 con il titolo “Molestie in diretta tv, la politica dica qualcosa di concreto”-
Il molestatore di Greta Beccaglia ha perso un’occasione per rendere appena un po’ meno deprimente, odioso, il comportamento di noi uomini. E con lui anche Giorgio Micheletti (“non te la prendere…”).
Il primo, anche se distrutto dalla sconfitta della squadra del cuore, quando la giornalista appena rudemente sculacciata gli ha urlato “non lo puoi fare!…” avrebbe dovuto trasalire, capire di avere fatto un inammissibile gesto violento, tornare indietro e scusarsi subito di fronte a lei e ai telespettatori.
Invece le scuse sono venute solo dopo che le onnipresenti telecamere lo hanno incastrato. Troppo facile. Giustamente Greta Beccaglia ha reagito denunciandolo per la violenza subita.
Il secondo, Micheletti, doveva capire che la notizia, rispetto all’esito della solita partita, era diventata improvvisamente un’altra. La collega era stata molestata, e più di una volta: il discorso andava riorientato, lo spettacolo non doveva andare avanti come se niente fosse.
Non voglio ergermi a giudice. Faccio queste osservazioni perché conosco bene inerzie, blocchi, ottusità – derivanti da una cultura profondamente introiettata – che hanno impedito anche a me tante volte di “fare la cosa giusta” nella relazione con una donna, causando ferite e risentimenti, conflitti che avrebbero potuto, dovuto essere evitati.
Mariangela Mianiti ha scritto ieri su queste pagine qualcosa di essenziale: “Serve che i maschi compiano una rivoluzione emotiva, sentimentale e culturale verso se stessi e nei confronti dei propri simili che scambiano il corpo di una donna, e quindi la donna, come un oggetto a loro disposizione”.
Per questa “rivoluzione maschile” dovremmo saper provare un nuovo desiderio. Non bastano certo i pur doverosi e in questo caso molto numerosi attestati di solidarietà. Quelli venuti dal mondo politico mi hanno anche un po’ irritato. Su questo piano alle parole non sembrano seguire mai fatti simbolicamente rilevanti.
Ieri sulla Stampa c’erano tre commenti in fila: Annalisa Cuzzocrea indicava 12 nomi di donne candidabili alla presidenza della Repubblica. Michela Marzano criticava i singolari consigli linguistici della Commissione Europea (non dire “buon Natale”, oppure “signore e signori”…). Simonetta Sciandivasci a proposito delle molestie a Greta Beccaglia spiegava perché “scusarsi non basta”.
Che cosa di diverso e di più incisivo fare? Ecco una, forse stravagante, modesta proposta.
Gli uomini politici, se pensano davvero che il maschilismo non sia più sopportabile, non potrebbero dimostrarlo facendo un passo indietro e pronunciandosi in via definitiva per una donna al Quirinale? Non sarebbe un buon segnale? Non potrebbe dirlo lo stesso autorevole Mattarella? O Draghi, al quale sono bastate due o tre parole per salvare una moneta? “Faremo tutto quello che è necessario per eleggere finalmente una signora!”. E i “leader” in Parlamento tutti d’accordo, che affermano come moltissime donne in Italia hanno tutte, ma proprio tutte le carte in regole per svolgere quella funzione.
Infine, il linguaggio. Michela Marzano nel commento citato un po’ difende le intenzioni della Commissione Europea, ma poi denuncia il rischio che per rendere il linguaggio più “inclusivo” si adottino criteri che, paradossalmente, espungono tutte le differenze. Per non offendere nessuno si cancellano tutte, tutti, tutt* e quant’altro. Un linguaggio inclusivo dovrebbe al contrario nominare e riconoscere tutte le differenze. A cominciare da quella femminile. A meno che non vinca una inconscia (?) pulsione maschile a cancellare nuovamente quel perturbante “altro” che ci ha messo al mondo. E che pretende perfino di non essere palpeggiato in pubblico.
PS: ho dimenticato di aggiungere che anche dal simpaticone Berlusconi ci si potrebbe aspettare il gesto cavalleresco: lasciare il passo verso il Colle a una donna…. non avrebbe da guadagnarci anche lui?