AN AMERICAN PICKLE – Film di Brandon Trost. Con Seth Rogen, Sarah Snook, USA 2020. Fotografia di John Guleserian. Musiche di Nami Melumad. Visto su Sky Prima fila.
In questa estate torrida con Lucifero che incombe su Roma proprio alla metà di agosto, barricata con i miei gatti in casa con l’aria condizionata accesa al massimo, decido che 42 gradi sono troppi anche per andare a vedere un film in arena. Quindi mi scarico un film in Prima fila prodotto appositamente per la TV da HBO.
Uno humour ebraico pervade tutto “An American Pickle”, film tratto dal racconto breve Sell Out di Simon Rich – peraltro anche lo sceneggiatore del film – e pubblicato sul New Yorker nel 2013.
È la storia di Herschel Greenbaum (interpretato da Seth Rogen) che assieme all’amata moglie Sarah (interpretata da Sarah Snook) lasciano il loro shtetl nell’est Europa (in Polonia) perché è stato preso d’assalto dai cosacchi russi. Emigrano e arrivano a Ellis Island, New York, nel 1919 per costruire un futuro migliore per la loro famiglia e per realizzare il sogno americano.
Il futuro però riserverà ad Herschel alcune sorprese. Comincia a lavorare come operaio in una fabbrica di sottaceti, ma proprio quando la fabbrica chiude, cade inavvertitamente in una vasca di salamoia dove sarà conservato per 100 anni. Infatti, Herschel si sveglierà nel 2019 e scoprirà che il suo unico parente vivente è Ben Greenbaum (sempre interpretato dallo stesso Seth Rogen), suo pronipote che vive a Brooklyn e fa lo sviluppatore freelance di app.
Come prevedibile la New York del futuro (cioè quella d’oggi) creerà molte perplessità nel bravo e religioso ebreo del secolo scorso. Dopo alcune disavventure Herschel, che è un uomo forte sopravvissuto ai cosacchi, non si perderà d’animo. Le automobili, i grattacieli, i monopattini per strada, gli MP3, i tablet e i social network, vengono acquisiti in poco tempo e, dopo aver avuto degli alterchi con l’agnostico nipote, troverà una sua strada di conservazione.
Con la vecchia astuzia di sopravvivenza contadina si mette a vendere in strada barattoli di cetrioli in salamoia, che confeziona lui stesso con l’acqua piovana sul terreno della tomba nel cimitero disadorno, comprato un secolo prima. La sua creazione biologica (American pickle) otterrà in brevissimo tempo un grande successo e finiranno in rete alcune riprese filmate di lui con il suo carrettino. Diventeranno virali.
Herschel ignaro di regole e di norme igieniche troverà l’assistenza di stagisti volontari; la sua attività diventa ancora più popolare e gli permette di ristrutturare il cimitero. Il successo di Herschel porta a evidenziare la frattura con il pronipote Ben che lo invidia ancora di più. Gli suggerisce di scaricare Twitter e Herschel inizia a twittare con dichiarazioni controverse. Inizialmente incontra proteste e boicottaggi, poi sarà visto come un simbolo della libertà di parola. Qualche scivolone (provocato) farà sì che Herschel venga poi abbandonato dal pubblico, proprio mentre non si riesce a ritrovare il file della sua immigrazione. Herschel sarà dichiarato clandestino e quindi espulso dagli USA, mentre Ben, pentito di essergli stato contrario, accetterà di aiutarlo a raggiungere il confine canadese. Con questo, Ben e Herschel inizieranno una sorta di riconciliazione.
In forma grottesca in An American Pickle vengono demoliti vari temi sacri all’establishment statunitense: dal mitico farsi da sé, alla tolleranza religiosa, alla prudish society, al repentino successo e alla veloce caduta e così via.
Seth Rogen nel suo doppio ruolo si sente perfettamente a suo agio, belle sono le fotografie di New York scattate da John Guleserian – nonostante il film sia parzialmente girato a Pittsburgh. Ma ancora più notevoli sono le musiche della compositrice israeliana Nami Melumad. Da una sua intervista: «Sono una suonatrice di flauto e per anni ho suonato nella sezione dei legni di un’orchestra, quindi sono sempre stati molto importanti nella mia scrittura, non solo in questo film, ma in tutto ciò che faccio. Il clarinetto ha una connotazione molto ebraica, anche se è un po’ un cliché, ma se usato correttamente e con gusto, funziona. Fortunatamente avevamo Joshua Ranz, un musicista che è molto bravo a portare questo spirito ebraico nella musica. Avevo richiesto specificamente un musicista che sapesse suonare il Klezmer. È entrato e ha suonato alla perfezione. Quando ho preso in giro la sequenza di Klezmer, il regista Brandon Trost era preoccupato, perché non si può prendere in giro Klezmer in cubase [un software che consente di registrare e produrre brani musicali in formati diversi]. Non funziona. Ma io gli dissi: «non preoccuparti, quando lo ascolterai con i suonatori dal vivo ti prometto che sarà eccezionale». Ha funzionato così bene che tutti hanno riso. Brandon diceva “avevi ragione”, ed era molto felice e anche io: è stato un momento fantastico»