Laila El Harim e Luana D’Orazio
Luana D’Orazio, 22 anni, muore in un’azienda tessile di Prato, stritolata da un orditoio, il 3 maggio scorso. Lascia un bambino di cinque anni. La madre dice che amava molto il suo lavoro.
Laila El Harim, 40 anni, rimane incastrata nella fustellatrice (macchina per le sagomature) del capannone della Bombonette, Bassa Modenese, il 3 agosto scorso. Lascia una bambina di quattro anni. Il compagno (progettavano di sposarsi a breve) dice che lavorava molto, anche undici ore (aveva un contratto a tempo indeterminato, firmato da poco).
Gratitudine, paternalismo, ricatto: i sentimenti si confondono attraversando il lavoro in modo complicato, intraducibile. Siamo in un tempo nel quale preme la logica del contenimento costi, della riduzione dei tempi. Quanto ai sindacati, molte delle 58mila imprese (medie e piccole) della Bassa Modenese non li hanno mai visti. Notoriamente, la ricchezza dell’Italia la fanno queste imprese. E chi ci lavora. E magari ci muore.
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricordato che “Il diritto al lavoro è diritto alla sicurezza. Sono ancora troppe le morti a causa di norme eluse o violate. Non è tollerabile”.
Per il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, si tratta di “un dato inaccettabile”. Il presidente dell’Inail, Franco Bettoni ammonisce che “non basta più indignarsi”. Il magistrato Bruno Giordano, nominato alla guida dell’Ispettorato del lavoro, parla di “crimini di pace” quotidiani.
Però si muore sul lavoro come cinquant’anni fa, in numero comunque minore degli anni Sessanta e Settanta quando i picchi degli infortuni erano ancora più drammatici.
Nel 2020 la morte non va in lockdown. Dei 1300 infortuni quotidiani circa la metà riguarda infezioni da Covid-19 contratte in fabbrica. L’Inail parifica l’infezione all’infortunio; la Confindustria spinge per restringere il campo delle categorie ammesse al risarcimento.
Ma la fine di Luana e Laila, due donne, due madri, colpisce particolarmente. Sembra indurre i media a rifletterci; i giornali a dedicare più di dieci righe alle
“morti bianche”. Sfilano le foto di ragazzi e di anziani, di italiani e stranieri. Però gli stranieri non sembrano aver diritto a una mortifera parità.
Il 12 agosto mentre eseguiva lavori di ristrutturazione alla periferia di Empoli cade un ragazzo albanese di 34 anni. Il nome non compare nelle cronache locali e – leggo – non si esclude “tra le ipotesi quella del suicidio”. Piccolo particolare, non aveva imbracature di sicurezza. Sarà il comune a pagargli il funerale e a far rimpatriare la salma?
Nella galleria di nomi c’è quello di un uomo schiacciato dalla fresa, un altro dal camion in retromarcia, dal tetto di una gru, da una bobina d’acciaio oppure precipitato dal cavalcavia, da un lucernaio, da una impalcatura. Da aggiungere “i casi in itinere” (così vengono chiamati nelle statistiche) quando gli operai muoiono mentre raggiungono o lasciano il luogo di lavoro.
Dipende questa strage dall’imprenditore che tralascia i controlli puntando tutto sul costo del lavoro, dalla manutenzione della macchina, dalla distrazione umana, della troppa sicurezza del lavoratore/lavoratrice, dall’”Italia che riparte” e deve andare veloce tralasciando la formazione?
Scrive (su “Repubblica” del 9 agosto) Marco Bentivogli in una lettera al segretario della Cgil, che “è il livello aziendale dove si possono fare cose importanti”.
Maurizio Landini afferma che “fabbriche e uffici sono stati messi in sicurezza”. Quali fabbriche, con quanti addetti? Dovremmo metterci d’accordo perché, se nel 2020 il 79,3% delle aziende controllate era risultato irregolare, di recente dalle decine di ispezioni eseguite tra Prato e Milano, si registrano irregolarità nel 100% dei casi.
Il sociologo Domenico De Masi sull’impressione provocata dalla vita spezzata delle due operaie osserva che “le morti delle donne sono più notiziabili” e dal momento che “le donne che muoiono sul lavoro sono meno degli uomini, i casi fanno sempre più clamore”.
Non credo sia questo il punto. Luana e Laila rappresentano un evento mediatico (la ragazza che muore a vent’anni; la madre che lascia un figlio; la rottura della vecchia regola o stereotipo? che immagina il sesso femminile “regina della casa”) tuttavia suggeriscono molto altro. Se per la sensibilità collettiva dovrebbero essere preservate dalla violenza, l’attenzione si ferma sulla realtà del lavoro scoprendovi la violenza e la poca cura del corpo, della vita delle donne. E degli uomini.
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