Pubblicato sul manifesto il 10 agosto 2021 –
L’informazione – non me ne vogliano tanti e tante bravissime colleghe – ci bombarda con una tale quantità di notizie e analisi contraddittorie su quasi tutto (dalla pandemia e i vaccini alla politica nostrana e internazionale, alle sorti magnifiche e progressive della scienza) che ci stiamo abituando a farci un’idea di ciò che accade dando una fugace occhiata ai grafici, agli schemi riassuntivi, alle cartine colorate.
È il trionfo dell’infografica. Il segno è sempre meno una fenomenologia linguistica della battaglia di senso tra significante e significato, che ci appassionava una volta. Ma si esaurisce nel tratto numerato, nella classifica, nel grafo ondivago che ci dice se il contagio si sta impennando. Nel colore bianco che temiamo si trasformi in giallo, o – Dio non voglia – in rosso.
La Grecia brucia? Basta guardare la carta geografica con le macchie che parlano di incendi devastanti. Potrebbe succedere (ed è già successo) anche qui da noi: abbiamo visto lo Stivale decorato con tante fiammelle inquietanti al Sud, e non meno spaventevoli tratti azzuri a segnalare alluvioni e altre catastrofi più o meno naturali al Nord.
Ultimamente mi soffermo su cartine anch’esse colorate in giallo, arancione e rosso (ma alcune utilizzano liberamente altre gradazioni cromatiche). Non parlano della Covid 19 ma di un altro tipo di malattia, completamente umana. Parlo dell’avanzata delle armate talebane nei disgraziati villaggi e nelle città dell’Afghanistan. Giorno dopo giorno quelle macchie rosse che parlano delle conquiste degli islamisti più integralisti contro l’”esercito regolare” afgano e le milizie dei “signori della guerra” che appoggiano il governo ufficiale, si moltiplicano. Le fotografie rappresentano le urla disperate degli afgani che hanno lavorato con gli alleati “liberatori”, italiani compresi: chiedono di essere salvati all’estero. Gli americani – che dovrebbero essere andati via tutti entro la fine di questo mese – mandano qualche aereo a dar man forte con le bombe. Forse più per salvarsi una piccolissima frazione di coscienza che convinti di dare davvero un “aiuto”.
C’è da restare allibiti di fronte al mutismo pressochè totale delle diplomazie e dei governi che hanno combattuto laggiù una guerra di vent’anni, e ora contemplano impotenti e silenti il disastro che ne è il risultato.
Alberto Negri ha analizzato su queste pagine la “strategia del caos” che sembra riassumere le scelte politico-militari degli USA nel nuovo millennio. Nessuno parla più di “esportare” la democrazia e di “state-building”, della costruzione artificiale e armata di nuove entità statali bene educate e gradite a noi occidentali. L’Afghanistan potrebbe essere l’ultimo esempio di quella “distruzione degli stati” che abbiamo visto in tutti questi anni operare in Medio Oriente e in gran parte dell’Africa di fronte a noi. Dalla Libia alla Siria, all’Iraq e a molti altri territori (basta pensare a tutto il Sahel). Forse non aveva torto qualche anno fa Alain Badiou a segnalare questa nuova fase distruttiva, funzionale a un capitalismo gangsteristico e predatore persino più del suo solito storico.
Anche al nostro illuminatissimo (e atlanticissimo) governo non bisognerebbe fare qualche domanda? Non si è sbagliato qualcosa – o forse tutto – nella lotta occidentale al terrorismo e l’estremismo di matrice islamica? Che cosa si fa, davvero, per aiutare le forze meno oscurantiste in tante parti del mondo?
La “cartina al tornasole” distingue le sostanze acide da quelle basiche, a seconda della intensità della colorazione rossa o azzurra. Nelle cartine di queste guerre e distruzioni infinite non vedi mai colori certi, e il sole non torna mai.