HONG KONG EXPRESS – Film di Wong Kar-wai. Con Brigitte Lin e Takeshi Kaneshiro, Faye Wong e Tony Leung Chiu-Wai, Hong Kong 1994. Musiche di Frankie Chan e Roel A. García, fotografia di Chrisopher Doyle.
In questi ultimi tempi stanno restaurando molte pellicole girate verso la fine del secolo scorso e in alcune sale romane le stanno riproiettando, talvolta sotto forma di rassegne monografiche. Il regista cantonese Wong Kar-wai, ad esempio, è diventato famoso nel mondo occidentale dopo il grande successo del film “In the mood for love” del 2000. Un regista piuttosto atipico nella attuale filmografia cinese, considerato una New Wave per essere al di fuori di qualsiasi canone narrativo e per quella fotografia di immagini sbavate e effimere realizzate da Chrisopher Doyle.
Wong Kar-wai aveva iniziato facendo lungometraggi di rivisitazione di eroi marziali della tradizione cinese e nel 1994, durante le pause delle riprese di “Ashes of Time” che durarono due anni, girò in tre mesi “Chungking Express”, traduzione internazionale di “Hong Kong Express”. Il titolo significa “la giungla di Chungking” ed è riferito a Chungking Mansions, un complesso di edifici nel cuore di Hong Kong dove persone di ogni nazionalità, in particolare indiani e pakistani, si riuniscono per pernottare e nutrirsi velocemente e a poco prezzo.
Il film, girato con cast e budget ridotti, era pensato inizialmente di tre episodi – con il terzo il regista ha poi sviluppato un altro film – e racconta due storie d’amore di due poliziotti a metà degli anni ’90 a Hong Kong, ancora colonia britannica all’epoca.
La prima storia narrata è più breve e mostra He Zhiwu (interpretato da Takeshi Kaneshiro), un giovane poliziotto con numero di matricola 223, che è stato abbandonato dalla sua fidanzata ed incontra una misteriosa ed equivoca donna (interpretata da Brigitte Lin), di cui si innamora, implicata in un traffico di droga. La donna ha una pistola e porta una parrucca bionda, indossa un impermeabile ma anche gli occhiali da sole (una donna per tutte le stagioni…) e, un dettaglio messo in risalto dal regista, porta costosissime scarpe di Manolo Blahnik. Per chi non lo sapesse Manolo Blahnik è uno stilista spagnolo di scarpe da donna, con casa di moda a Londra, molto amato da Carrie Bradshaw, la protagonista di “Sex in the City” che però inizierà la serie quattro anni dopo.
La seconda storia invece racconta l’incontro tra un altro poliziotto (Tony Leung Chiu-Wai che ha vinto il Prix d’interpretation masculine al festival di Cannes per “In the mood for love”) designato dal numero di matricola 663, anch’esso appena lasciato dalla sua donna, una hostess, e la giovane cameriera Faye (la cantante e attrice cantonese Faye Wong), che lavora nel chiosco di un fast food.
L’ambiente che il regista mostra è sempre uno fatto di interni un po’ claustrofobici, anche quando le scene sono girate all’aperto nelle strade o nelle piazze. Sembrerebbe quasi che la situazione urbana sia prevalentemente mentale (simbolica?) o sociale, ma mai spaziale. Una curiosità: il secondo episodio è parzialmente girato nell’appartamento del direttore della fotografia Chrisopher Doyle.
Le sue storie d’amore sembrano nascere e morire durante divagazioni notturne, sempre molto desiderate e poco consumate, raccontano la vita di tutti giorni, a volte quasi banali corteggiamenti, attrazioni, fughe e ritorni, come se il desiderio del rapporto fosse la parte più bella del rapporto stesso, che troverà il suo apice in “In the mood for love”. Il cinema di Wong Kar-wai è fatto di atmosfere, di sguardi, e il suo modo di fare cinema – film girati spesso senza sceneggiatura sulla base di suggestioni e improvvisazioni – è stato paragonato al modo di dipingere degli Impressionisti che coloravano le tele direttamente col pennello, senza realizzare prima un disegno con i contorni da riempire. Inoltre, il regista cantonese nelle sue sequenze ama giocare con il tempo che frammenta, e scompiglia andando ben oltre il semplice montaggio.
Come in tutti i film di Wong Kar-wai, la musica ha un ruolo importante e talvolta sovrasta il dialogo. Il film si apre e si chiude con Dreams dei Cranberries, in un rifacimento cinese cantato dalla stessa Faye Wong, mentre la seconda storia del film è caratterizzata dalla ripetizione quasi ossessiva del brano California Dreaming dei Mamas & Papas del 1963.