E’ la donna a decidere se avere o no un figlio. Mettere al mondo un bambino dipende principalmente dal suo desiderio. L’incertezza del futuro, la minaccia della disoccupazione, l’assenza di aiuti come gli asili-nido (specialmente al sud) affievoliscono quel desiderio.
Nel dicembre 2020 c’è stato un calo delle nascite del 10,3% rispetto al dicembre 2019.
Il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha paragonato questo crollo della natalità “che verosimilmente riflette attenzione e paura per la comparsa del Covid-19” (intervista sul “Mattino” di sabato 3 aprile) a quello avvenuto dopo la tragedia nucleare di Chernobyl.
Il bambino ha bisogno, per nascere, di un ambiente di fiducia, di speranza. Quell’ambiente si raggrinzisce di fronte all’avanzare di una nube tossica, alla dispersione di goccioline velenose nell’aria.
Ma qui, in Italia, ancora adesso, nella seconda Pasqua in lockdown, scompaiono ogni giorno un numero altissimo di persone: perlopiù di età avanzata. Con loro, con gli immolati alla pandemia, scompaiono memorie, ricordi, esperienze. Una generazione spazzata via.
Ci sarebbero i vaccini, certo. Nelle previsioni a settembre i non più giovani saranno tutti vaccinati. Anzi, dovrebbero essere stati vaccinati per primi. Ma i dati smentiscono le previsioni. Il 27 marzo, c’era un vaccinato su cinque sopra gli ottanta. Il papà e la mamma del segretario regionale Fiom-Cgil, Giorgio Airaudo, estremamente fragili, che aspettavano il vaccino dal 16 febbraio, se ne sono andati prima di poterlo ricevere.
E attende il vaccino “un milione e mezzo di fragili con caregiver dunque i più fragili e a rischio di contagio con altri” (Flavio Fusi sull’ “Osservatore romano” del 26-3). Così gli “invisibili” emofiliaci, gli affetti da una malattia genetica, da disabilità o handicap gravi.
Nel 2020 l’indice di natalità è stato il più basso dai tempi dell’Unità d’Italia. E il numero di morti il più alto dal secondo dopo guerra.
Con la pandemia – o forse sarebbe meglio chiamarla (come ha fatto Richard Orton su “Lancet”) sindemia dal momento che il virus cagiona danni e lutti a seconda delle condizioni ambientali, sociali, economiche – sarebbe necessario rimettere al centro i più vulnerabili, i senza voce, i dimenticati dalla democrazia. Ma chi deve farlo? Non possiamo aspettarci che qualcuno intervenga a ribaltare questo schema se non ci impicciamo del problema. Se non cominciamo noi a avere uno sguardo diverso, bé forse è tempo di procurarci un nuovo paio di occhiali.