Pubblicato sul manifesto del 19 gennaio 2021 –
“L’Italia è in guerra. Ha un comando e degli alleati. L’attende, non si sa quando, un dopoguerra molto difficile, dato che era entrata in guerra già in condizioni di debolezza cronica…”. Non è la dichiarazione di qualche protagonista del secondo conflitto mondiale, o del primo, ma l’attacco dell’articolo di un uomo in apparenza mite e moderato come Mario Monti, sul Corriere della sera di domenica scorsa. L’introduzione “bellica” porta poi a interrogativi sugli esiti della crisi politica in cui governo e maggioranza “si sfaldano”.
Ma come! Il “nemico” ci attacca e gli alleati al comando si pugnalano alle spalle?
È appena il caso di notare come la crisi “incredibile” di queste ore sia riconducibile, e rappresentabile, come una serie di “duelli” tra personaggi maschili. Renzi e Conte, prima di tutti. Ma non mancano altre coppie in confitto più o meno esplicito, fino alle telefonate private e alle ripicche via Twitter tra Calenda e l’intramontabile Mastella.
Tutto ciò – e non solo le azioni di prevenzione, di sanità e di ricerca scientifica per “vincere” la pandemia – sembra aver poco a che fare con la guerra e la sua violenza distruttiva. Ma fino a un certo punto. La crisi politica americana è stata condotta – non per caso da un leader maschilista – sino alla soglia di una vera e propria guerra civile. E forse non ne abbiamo visto ancora tutti gli esiti.
Qui siamo nel paese della Commedia dell’Arte, e più che di fronte alla tragedia siamo a una specie di farsa, non di buona qualità, e non priva di rischi (che succede se si va a votare? Ma non sarebbe persino giusto con un Parlamento che, quasi certamente, non rispecchia più gli orientamenti elettorali del paese?).
Tuttavia riflettere sui modi in cui costruiscono, o demoliscono, le reciproche relazioni uomini che si assumono qualche responsabilità, nella politica come nella vita, è un pensiero da pensare in questo tempo.
Ho appena ricevuto la seconda edizione di un libretto per me istruttivo, scritto dal sociologo Sergio Manghi: “L’altro uomo. Rivalità maschili e violenza di genere”, Pazzini Editore, 2020. La tesi centrale è – in parole semplici – che quasi sempre all’origine della violenza di un uomo contro una donna c’è anche una terza figura. Concreta o fantasmatica che sia. Mi lasci per andare con quello lì. Mi lasci e quindi andrai comunque con un altro. Non lo posso sopportare.
Il testo è stato arricchito in varie parti rispetto alla prima uscita, nel 2014. La vita imprevista condizionata dal virus – scrive Manghi all’inizio – ha prodotto un di più di “misconoscimento” del ruolo delle donne nel “ritessere senza posa il quotidiano delle relazioni”, ha aggravato “la radicale crisi di civiltà già in atto”. Se non si parte dai meccanismi più intimi della generazione della violenza non saranno trovate le “mosse relazionali” capaci di favorire nuove “inquiete fratellanze” tra uomini e donne, sostiene l’autore citando Nadia Fusini. Una sorta di precondizione per superare ogni esito di guerra.
E vedere il peso delle “rivalità maschili” significa anche non rimuovere le speculari dinamiche di “amori tra maschi” che da che mondo è mondo (forse soprattutto nel nostro, discendente dai Greci?) hanno cementato la costruzione dell’autorità e del potere maschile, che oggi sembra non più capace di reggersi su se stesso.
Proprio l’esplosione di questa crisi – non tanto sui banchi dei governi, ma nell’insieme della civiltà – autorizza qualche ottimismo. Alla “rivalità simmetrica di marca narciso-liberista” conclude Manghi, può sostituirsi la ricerca di una libertà non più “neutra” (cioè maschile), ma ricca di imprevisti e differenze relazionali.