Gian Marco e Letizia Moratti con Vincenzo Muccioli
Non so se Vincenzo Muccioli – come ha scritto qualcuno – sia stato un precursore del populismo. Certo, dopo aver visto la docuserie Netflix Italia
SanPa Luci e tenebre di San Patrignano di Carlo Gabardini, Gianluca Neri e Paolo Bernardelli, bella regia di Camilla Spender, tornano gli interrogativi sulla bontà di un metodo che non rifuggiva dalla violenza – punendo, picchiando, incatenando – ma che, anche attraverso la violenza, impediva ai ragazzi di correre a bucarsi e ad uccidersi.
Per il creatore della comunità divenuta da piccola a immensa, si trattava di difendere quei ragazzi da se stessi. Comunque, un certo grado di violenza se non reale simbolica, penso che circoli nelle comunità di recupero dei tossicodipendenti.
A San Patrignano, negli anni Ottanta – per comprenderli fondamentale il film di Claudio Caligari “Amore tossico” – anni del cosiddetto “riflusso” ci si trovò di fronte una serie di contingenze particolarissime che inghiottirono qualsiasi interrogativo, dubbio, perplessità: assenza dello Stato, disperazione delle famiglie, insicurezza, fragilità, angoscia, afflizione distruttiva dei tossici; dall’altra parte, un ego abnorme, megalomane, autoritario del padre-terapeuta, del patriarca metà guru e metà dio sceso in terra, che dispensava abbracci e botte.
Quel luogo non offriva un pranzo di gala ma doveva convincere (o costringere con la coercizione) ad accettare il posto del dominato perché è “per il tuo bene”.
SanPa, qualunque giudizio venga dato sulla docuserie, ha il merito di non rimuovere gli interrogativi. Specialmente ora, nel contesto della pandemia, che la coscienza degli errori fatti dallo stato, dalle istituzioni, dalla politica e dai suoi protagonisti istituzionali, emerge in modo esasperato.
Allora, negli anni Ottanta, la sordità per le pene di tanti disperati condusse all’incredibile reazione “del Paese, dei politici, degli opinionisti, dei giornali e delle tv. Il coro che rivendica il diritto di Muccioli a violare uno per uno tutti i diritti costituzionali in nome del ‘buon fine’ ”(Andrea Colombo sul “Manifesto” del 5 gennaio 2021).
Fu dunque il privato a intervenire per aiutare, appoggiare, favorire l’espandersi di una struttura che fece da modello non solo per l’Italia. Quel privato si materializzò in una coppia: Letizia e Gian Marco Moratti, dal ’79 sostegno (anche finanziario, avendo versato negli anni molti milioni alle casse della comunità) di Muccioli e di quanti soggiornarono nella comunità.
Nel 2021 la ex ministra, ex presidente Rai, ex sindaca di Milano, ex presidente Ubi banca, diventa vicepresidente della Regione Lombardia e nuovo assessore regionale al welfare. Non ha mai smesso di seguire con passione i ragazzi di San Patrignano.
Nelle prime dichiarazioni Letizia Moratti si definisce una “civil servant”; alla domanda se la sanità privata lombarda debba venire ridimensionata, ha risposto: “Affrontiamo la questione senza ideologia”. Cosa veramente difficile anche solo da immaginare dopo aver visto i fallimenti del sistema sanitario lombardo nella lotta alla pandemia; i tagli che hanno azzerato la medicina di base; la messa in crisi della “locomotiva” del nord. I risultati dell’esaltazione del privato rispetto al pubblico li abbiamo sotto gli occhi.
Sul serio Letizia Moratti ritiene che non ci fosse ideologia nella sua comprensione, aiuto, partecipazione se non al metodo Muccioli alla conduzione di San Patrignano?
Riferendosi alla docuserie dalla quale ha preso le distanze, il suo parere è che “ci sono stati episodi drammatici inseriti in un contesto storico già drammatico di suo. Ma si impara anche dagli errori e questa è stata la forza di quella esperienza che ha continuato ad evolversi per stare al passo con i bisogni”.
Eppure, “la mortificazione continua della personalità” (frase usata dai giudici nei processi a Muccioli), deve ancora trovare risposta. Quella comunità è cambiata. Ma non la legge sulle droghe mentre le carceri sono piene di tossicodipendenti, considerati in blocco categoria criminale.
Che Letizia Moratti prometta di occuparsi “senza ideologia” della sanità lombarda non rassicura. Dato che aderì al progetto Muccioli con un supporto convinto, io direi ideologico, benché avvolto nel paternalismo. Speriamo che questo schierarsi, essere di parte, cioè dalla parte del privato, una volta cacciato dalla porta, non rientri dalla finestra del palazzo della Regione, a pochi minuti di distanza dal grattacielo Pirelli.
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