CELEBRITY – Film di Woody Allen. Con Kenneth Branagh, Judy Davis, Joe Mantegna, Charlize Theron, Melanie Griffith, Leonardo Di Caprio, Winona Ryder, J. J. Simmons, Debra Messing, Sam Rockwell, Dylan Baker, Framke Jannsen, Hank Azaria, Michael Lerner, Bebe Neuwirth, Greg Mottola, USA 1998. Fotografia di Sven Nykvist, scenografia di Santo Loquasto. Visto su Amazon Prime Video –
Per iniziare un nuovo anno, ma sempre in clausura, mi sono messa alla ricerca di qualche film da rivedere, o da ripescare tra quelli passati, tre le varie piattaforme televisive e mi sono imbattuta in “Celebrity” del 1998. Non credevo proprio di essermi persa un film di Woody Allen, e che film! Girato nel 1998 sembrerebbe fare il controcanto a “I Protagonisti” di Robert Altman del 1992, l’adattamento del romanzo “Il giocatore” (The Player) di Michael Tolkin, una satira del mondo di Hollywood scritto quattro anni prima. Il cast di quest’ultimo film – a parte Tim Robins che interpreta il personaggio principale – comprende una carrellata di volti noti che affollano gli studios da Julia Roberts a Bruce Willis, da Susan Sarandon a Peter Falk, oltre alle icone altmaniane Elliot Gould, Karen Black, Cher, Jack Lemmon e altri ancora. Il film, selezionato per il Festival di Cannes di quell’ anno, aveva vinto i premi per la miglior regia e per la migliore interpretazione maschile.
Anche “Celebrity” è una satira del mondo cinematografico, ma si svolge sulla East Coast. Per anni, infatti, New York è stata considerata, in qualche misura, antagonista di Hollywood. Nel film Woody Allen presenta questa città come l’apice della mondanità, tanto è vero che in molte recensioni si fa riferimento alla Roma di Federico Fellini (1960). Alcuni sostengono, infatti, che si tratta forse del suo film più felliniano, visti i riferimenti a “La Dolce Vita” e “Ginger e Fred” e a “Otto e mezzo” nell’uso del bianco e nero.
Woody Allen dirige una pellicola sul dietro le quinte e sui vizi dei divi, uno squarcio sulla vita mondana newyorkese tra la moda e il cinema. Allen mostra la società dello spettacolo e quella intellettuale a metà tra impegno e mondanità, dove l’immagine, l’essere in qualche modo riconosciuti e avere successo sono più importanti perfino del denaro stesso.
Il protagonista Lee Simon, un alter-ego dello stesso Allen, è un giornalista quarantenne che scrive su una rivista di turismo e intervista varie celebrità con lo scopo di soddisfare le curiosità dei fan e dei lettori. Kenneth Branagh, che lo interpreta, è una sorta di Marcello Mastroianni de “La Dolce Vita”, vive abbagliato dal mondo dei cineasti, corteggia varie attrici e indossatrici credendo ogni volta di innamorarsi e divorzia dalla fedele moglie Robin. Questa cade nella disperazione per essere stata abbandonata, ma piano piano, si risolleverà. Troverà perfino un nuovo amore nel regista italo-americano Tony Gardella che, oltre a chiederla in sposa, la farà lavorare con lui per la casa di produzione televisiva, al posto dell’insegnamento diventato una noiosa routine. Lee, invece, non saprà bene cosa fare: prima seguirà l’attrice Nicole, poi cercherà di avvicinare una modella, dopo comincia una relazione con Bonnie, ma il giorno stesso in cui lei decide di trasferirsi, lui le dice che non l’ama più, perché attratto da Nola, una giovane attrice. Lee vorrebbe tanto terminare di scrivere il suo romanzo (ma poi, l’avrà iniziato?), ma alla fine rimarrà da solo a vedere un film dove appare la scritta Help, che era apparsa all’inizio.
“Celebrity” presenta un bel ritmo sincopato tipico dei film di Woody Allen. Molti sono i personaggi descritti con il suo solito humor, tanti sono anche i continui cambi di scena e i dialoghi serrati. Gli attori sono semplicemente strepitosi, primo fra tutti Kenneth Branagh che recita con grande naturalezza una parte a lui inusuale, le attrici sono molto brave anche nel loro essere eccessive – come lo sono molti personaggi felliniani – come Judy Davis, nella parte della moglie tradita, e Charlize Theron, nella parte di una modella erotomane.
Una delle ragioni dell’antagonismo cinematografico tra le due coste è forse da ricercare nella presenza a Manhattan dell’Actor Studio, fondato nel 1947, che ha sempre rappresentato un laboratorio di qualità per il perfezionamento dell’arte drammatica. L’Actor Studio ha tratto origine dall’esperienza del Group Theatre degli anni Trenta, ma il suo metodo fa riferimento, attraverso adattamenti di Lee Strasberg, a quelle dell’avanguardia teatrale russa dell’inizio del Novecento. Esse hanno spesso prodotto negli allievi un tipo di recitazione caratteristico fortemente emotivo, come espresso negli anni Cinquanta da attori quali Marlon Brando, James Dean, Montgomery Clift, Rod Steiger e Paul Newman. Da lì, nelle decadi successive, sono usciti grandi attori come Robert De Niro, Al Pacino, Dustin Hoffman, Harvey Keitel, Christopher Walken, cui si sono aggiunti Meryl Streep e Robin Williams.
Un’altra ragione della rivalità è da rintracciare nel cambiamento nelle case di produzione cinematografica, spesso con sede a New York. Infatti negli anni ‘60 in America ci fu un’esplosione di produzioni indipendenti, soprattutto dopo l’inaspettato successo di film come “Il laureato” (1967) di Mike Nichols, “Bonnie and Clyde” (1967) di Arthur Penn e “Easy rider” (1969) di Dennis Hopper. Un esempio di produttore (ma anche regista) di questo periodo è il newyorchese Bob Rafelson – che ha diretto “Cinque pezzi facili” – fondatore della Raybert Production che diverrà poi la BBS, casa produttrice di film quali, appunto, “Easy Rider”. Le sue opere sono spesso sul tema del viaggio, tipico del nuovo cinema americano, innestano la ricerca di nuove frontiere interiori che vanno al di là dell’immagine alienante imposta dal contesto sociale. La cultura di quegli anni, il dissenso giovanile, il pathos di vivere, la fine del sogno americana, hanno avuto un ruolo importante nella cinematografia americana degli anni Settanta. Si arrivò, quindi, ad una vera e propria frattura tra il cinema hollywoodiano e quello statunitense in generale, e da allora le due cinematografie non poterono più essere identificate.
Hollywood ritroverà una sua rivincita, anche contro la concorrenza televisiva, con la produzione dei cosiddetti blockbuster, film d’azione spesso di fantascienza, ricchi di effetti speciali di tutti i tipi, di immagini computerizzate e di scene spettacolari con battaglie cosmiche. Il target del blockbuster è quello dei giovani, in particolare adolescenti, anche se spesso piacciono anche ai loro genitori.
Inoltre, la diffusione del cinema europeo negli Stati Uniti contribuì a considerare il regista come autore facendo aumentare l’importanza di opere di registi come Robert Altman, Woody Allen, John Cassavetes, Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Milos Forman, Sidney Lumet, Sam Peckinpah, Roman Polansky, Sydney Pollack, e tanti altri.