In rete gira l’immagine di sette faccine maschili e sette femminili. Recita la scritta: “I paesi più colpiti dal coronavirus sono gli Usa, il Brasile, la Russia, la Spagna, l’Inghilterra, l’Italia e la Francia. Ecco la foto dei capi di Stato di questi paesi”. E poi: “I paesi che hanno meglio gestito la crisi sono la Germania, Taiwan, la Nuova Zelanda, l’Islanda, la Finlandia, la Norvegia, la Danimarca. Ecco le foto di chi li governa”.
Semplificazione eccessiva? Certo, l’immagine suggerisce che c’è differenza dei maschi e delle femmine nel modo di affrontare un problema nuovo, catastrofico: la pandemia. Potere del capo di Stato da un lato; creazione di nuove risposte di chi ha il compito di governare, dall’altro.
Incuria (Trump consigliava iniezioni di disinfettanti e candeggina) e prendersi cura. Per evitare i fraintendimenti, non penso che gli uomini facciano “fetecchie”. Fanno bene e male, come tutte noi. Ma alcuni il potere non sanno proprio limitarlo o ne sono sedotti tanto da perdere la testa, peggio che se gli saltasse fuori dall’armadio Jodie Foster.
“Durante la pandemia l’autorità delle donne è circolata” ha scritto Lia Cigarini (sul sito www.libreriadelledonne.it il 20 ottobre). Ha portato esempi con nome e cognome capaci di mediazione e di gesti coraggiosi perché le donne stanno incollate alla realtà; mettono insieme le parole con le cose; danno valore alle relazioni. Se ne prendono cura.
Ma cura e violenza sono inseparabili. D’altronde, conosciamo bene la svalutazione, il non ascolto, il disprezzo addirittura nei confronti del femminile.
Le uccisioni delle donne non si sono fermate il 25 novembre, giornata contro la violenza. Non mi vuole? Mi vuole lasciare? E io la elimino. Aurelia Laurenti, 32 anni, ex estetista, poi casalinga e mamma di due bambini, è stata sfigurata dal compagno infermiere con otto coltellate.
La ministra alle Pari Opportunità, Elena Bonetti, in un’intervista (sul “Mattino” del 27 novembre) ha deciso di affidarsi “alla parità di genere effettiva perché solo così verranno eliminate le precondizioni su cui la violenza si misura”.
Ora, mentre possedere “un’autonomia economica e lavorativa” significa avere più chance per la parte sovente più debole economicamente di poter lasciare l’uomo violento, l’uomo con il quale non si riesce più a condividere la vita, secondo me le leggi per la parità non servono a contrastare la violenza inchiodata in un conflitto più antico, nel quale gli uomini vogliono avere l’ultima parola e le donne hanno flebile parola (benché sempre più percepibile) in un terribile gioco di superiorità e inferiorità, dominio e sottomissione. Inoltre spesso le donne sono innamorate dell’uomo che le maltratta. Anche se hanno un buon lavoro e un buon stipendio quel legame le trattiene e aumenta la sofferenza, mentre non abbandonano la speranza che prima o poi quell’uomo cambierà…
Naturalmente, circolano pure uomini rispettosi della parola femminile ma quando accade, se accade, risulta inverosimile. L’ex rettore della Sapienza Eugenio Gaudio ha invocato scelte famigliari sostenendo che sua moglie non voleva trasferirsi a Catanzaro. Nessuno ha creduto alla spiegazione. Perché?
Significa che le donne non contano e che le motivazioni che spingono un uomo sono sempre altre: guai con la giustizia, scatti di carriera, denaro?
Comunque, che le donne abbiano mostrato sapienza nel modo di affrontare il virus è più di un’idea giornalistica. Ma che la disoccupazione, lo sfruttamento, la violenza scelga le donne tra i suoi bersagli non è soltanto un’idea giornalistica, e neppure la riaffermazione del vecchio ordine simbolico patriarcale.
Il governo procede a infuturarsi sui vaccini anti-Covid e come e dove e in quale quantità verranno distribuiti mentre opera poco e in modo contradditorio.
Manca il piano ospedali rimasto sulla carta dal 4 maggio, l’assistenza territoriale inesistente, i tracciamenti. Di diverso dal passato è il numero di morti, altissimo. Nel complesso, tanto fumo negli occhi e un approfondirsi delle diseguaglianze proprio in un momento di frattura del sistema capitalistico.
Eppure, è così difficile capire che il “ristoro” più importante – certo oltre agli aiuti per i danni economici causati dalle forzate chiusure – andrebbe rivolto al miglioramento, oggi e per sempre, della vita delle persone più fragili, a cominciare dagli anziani e anziane che sono tanta parte delle nostre società moderne? Un segno di civiltà, non un problema che ci pesa, un resto ingombrante. E dimostrare che il cambiamento parte davvero dalla salute, del corpo e della mente. Quindi sanità, scuola, università, ricerca, cultura. Che senso può avere aprire negozi, ristoranti e impianti sportivi e rassegnarsi a tenere chiuse aule scolastiche, sale cinematografiche e teatrali, musei, che oltre tutto sono i luoghi che più facilmente si possono difendere dal contagio? (E a proposito, che fa il ministro dei “beni artistici e culturali”? Pensa soprattutto al bene della propria carriera politica?)
La sapienza femminile ha bisogno di sperimentarsi per sé e per gli altri in una dimensione più umana di convivenza.
Quando Maria Lai nel 1981 progetta di “legarsi alla montagna” gli abitanti del paese di Ulassai sono all’inizio recalcitranti. Riscopre l’antica leggenda popolare secondo la quale una bambina si era salvata da una frana correndo dietro a un nastro celeste che fluttuava davanti alla grotta dove si era rifugiata. Ciascuno diventa protagonista di quel legame che va a unire case, corpi, mani. Le donne hanno bisogno di afferrare quel nastro celeste.