Pubblicato sul manifesto il 14 settembre 2020 –
Ho appena letto il bel libro di Carlo Rovelli sulla fisica dei quanti (Helgoland, Adelphi, 2020) e vorrei azzardare un legame tra il modo di guardare alla realtà che questa interpretazione della natura suggerisce e le angosce, gli interrogativi – forse aggravati dal disagio portato dal virus – che ci prendono proprio in questi giorni di fronte al ripetersi di azioni violente raccontate dalla cronaca.
Non pretendo di riassumere qui una teoria che lo stesso Rovelli descrive come per certi versi misteriosa e incomprensibile. Ma sono sempre stato affascinato dai concetti di indeterminazione e di probabilità che percorrono la ricerca sui meccanismi più intimi della materia. Un “vaccino”, quantomeno, rispetto alle pretese millenarie di definire certezze che si trasformano volentieri in tragici dogmatismi.
Un passaggio centrale della visione quantistica che lo stesso Rovelli, come scienziato, ha contribuito a elaborare mi sembra questo: “Invece di vedere il mondo fisico come un insieme di oggetti con proprietà definite, la teoria dei quanti ci invita a vedere il mondo fisico come una rete di relazioni di cui gli oggetti sono i nodi”.
Mi piace immaginare – una specie di indebito “salto quantico”? – che anche gli esseri umani siano “nodi” della rete delle relazioni che li attraversano, e quindi li determinano. Dal momento del concepimento in poi. In continuo, possibile, imprevedibile mutamento.
Pensare in questo modo potrebbe aiutarci a superare la paura dell’altro, del diverso, o la chiusura nelle poche mal riposte certezze identitarie e affettive che sembrano all’origine di violenze come quelle agite contro Willy Monteiro Duarte e Maria Paola Gaglione e il suo compagno?
Questa idea la rimugino da molto tempo, ma oggi mi sembra un esperimento mentale molto urgente da tentare e proporre.
Qualcosa di simile ho letto anche nella lunga toccante lettera mandata al Corriere della Sera da Maria De Lourdes Jesus, cugina della madre di Willy.
È una sintesi di ciò che non ha funzionato, da un certo punto in poi, nel processo dell’integrazione degli stranieri nella nostra società. E verrebbe voglia di dire, del doppio fallimento nell’ integrare noi italiani nella nostra stessa società, ormai fatta come quasi in tutto il mondo di presenze multietniche, multiculturali, e di differenti identità e desideri sessuali. Maria scrive a un certo punto che Willy era un ragazzo “rispettoso delle leggi e ben integrato, al contrario dei suoi assassini, violenti, disadattati, incivili, malamente integrati nella società”.
Lei stessa, dopo aver sofferto quindicenne in Europa una condizione di “schiavetta”, ha fatto la colf, ma poi ha condotto per anni su Rai2 la rubrica “Nonsolonero”, la prima a occuparsi della presenza di immigrati in Italia. Grazie alla sensibilità – che anche a me piace ricordare – di uomini come Massimo Ghirelli e Alberto La Volpe. Poi quell’apertura si è chiusa. E credo che sia una grave responsabilità di chi ha gestito l’informazione pubblica – e certo anche quella privata – aver fatto poco o nulla per aiutare l’integrazione degli stranieri in Italia e l’integrazione degli italiani in una società sempre più plurale.
La lettera si chiude con domande dirette al premier Conte: cosa succederà dopo i funerali di Willy? Ci si aspettano “pene esemplari”. Ma ancora di più investimenti nelle politiche di integrazione “coinvolgendo i soggetti interessati e prima di tutto i figli degli immigrati”. E magari, finalmente, il cambio dei “decreti sicurezza”.
Conte e la sua maggioranza, sapranno e vorranno rispondere?
Intanto potrebbero aggiornarsi sulle letture relazionali della realtà che la scienza ci propone.