Ciao, sono Monica e sono onnivora da quando ne ho memoria. Non torturo gli animali ma li mangio volentieri. Mi ha tolto dal fastidio di chi mi vorrebbe colpevole (e anche dalla corrente femminista antispecista, che va per la maggiore mettendo in campo voci autorevoli come quella di Donna Harraway), il saggio Umani e altri animali. Riflessioni per un’etica onnivora di Nane Cantatore (Luca Sossella Editore, 2020, una copertina che mi fa pensare ai corpi-animali di Alberto Savinio).
Cantatore si chiede com’è che siamo passati da domandarci cosa c’è nel nostro piatto a “chi” mangeremo per cena: dissertazione specista che non cade nella trappola della moralità o amoralità del mangiare animali, piuttosto si preoccupa di spiegare quanto si possa essere etici e onnivori allo stesso tempo, se per etico ci si riferisce all’attenzione verso il comportamento che abbiamo con gli animali tout court, compreso il loro sfruttamento. Mangiare etico – anche carne e pesce – significa scegliere accuratamente l’allevamento, il macellaio, il beccaio. Una storia lunga tra uomo e animale, che l’autore ripercorre sin dalle origini e dal legame che ci lega anche agli animali divenuti nel tempo domestici, prima i cani poi i gatti, con i quali realizziamo simbiosi, diventiamo branco. E quello con le bestie che mangiamo. Perché se ciò che caratterizza il genere umano è la sua dimensione morale e giuridica, diventa necessario occuparsi del benessere dell’animale ma non porlo come essere morale.
Siamo una sola cosa con specifiche funzioni per ognun*. Occorre mettersi d’accordo su cosa in questo contesto è definita come etica: al livello teorico “Il comportamento verso animali non umani è determinato dai rapporti di specie, per cui sono lecite le azioni che, per quanto possano recare danno al singolo animale, rientrano in un paradigma vantaggioso per la specie nel suo complesso. Sono illecite le azioni che comportino un danno al singolo animale senza comportare un maggior vantaggio per la specie”. In pratica “questo significa che è lecito allevare un animale per macellarlo, a condizione che il suo allevamento permetta alla specie di cui fa parte un sostanziale vantaggio rispetto allo stato brado”.
Il dibattito è ampio e il racconto delle buone pratiche e di quelle nefaste è a disposizione di ogni pubblico – uno per tutti il viaggio compiuto dallo chef Dan Barber a caccia delle buone pratiche nei paesi d’occidente, raccolte ne La cucina della buona terra. Storie di passione per il cibo (Bollati Boringhieri, 2015); alle riflessioni di Michel Pollan ne Il dilemma dell’onnivoro (Adelphi, 2013) – citato da Cantatore nell’abaco di una nutrita bibliografia – che invita a ragionare sulle differenze tra un animale allevato in un ambito di economia locale, e la fetta impacchettata nel supermercato, prodotto ultimo di una catena di lavorazione industriale, definita “carne morta”.
Vorrei aggiungere due notazioni a margine. Il mondo rappresentato dal dibattito specista-antispecista mi sembra riflettere le conseguenze dello sviluppo del pensiero e delle pur variegate realtà occidentali. Mi spiego: se Cantatore mette in primo piano i bisogni della specie umana e delle sue prelazioni etiche, c’è una vasta “altra” parte di mondo che – diciamola così- non ha nemmeno accesso a quella componente animale che gli servirebbe per sopravvivere, per la quale morto, vivo, marcio, allevato non solleva dubbi. Molte delle nostre riflessioni e scontri sul tema generale cibo-nutrizione-vita sana, sono il frutto di un eccesso di provviste, di una offerta sconsiderata di merce, che ormai diventa più costosa se al prodotto vengono sottratti ingredienti (la logica del cibo senza di cui ci siamo occupate nel numero della rivista Leggendaria (n.127/2018) e se vuoi mangiare “sano ed etico” devi pagare di più. La seconda considerazione riguarda il concetto ormai diffuso di “equilibrio della natura”, che Marco Ferrari, caporedattore della rivista Focus, spiega bene in un articolo pubblicato su Il Tascabile (https://www.iltascabile.com/scienze/equilibrio-natura/) : è un sogno dell’uomo quello della sintesi con l’ambiente che lo circonda, rincorso sin dagli albori della filosofia, perché esso non è dato in natura. Poche variazioni climatiche, ambientali e del mondo animale possono provocare mutamenti rilevanti, così come gli effetti dell’andamento delle popolazioni; “Insomma, troppi sono i fattori esterni e interni che modificano gli stati e i parametri di un ecosistema per pensare che le oscillazioni delle popolazioni di specie siano smorzate da ‒ indeterminate ‒ forze naturali, in un delicato bilancio energetico, popolazionale e in ultima analisi ecologico”.
Ma è ora di smettere. La mia gatta ha fame.
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