Pubblicato sul manifesto l’11 agosto 2020 –
Le nuove direttive per l’uso della pillola Ru486 approvate dal ministero della Salute, dopo un parere unanime del Consiglio superiore della sanità, hanno riacceso polemiche sulla relazione tra l’autodeterminazione femminile nelle scelte sulla procreazione e il significato dei termini “diritto” e “libertà” declinati sulla possibilità di abortire con meno vincoli di carattere giuridico e medico.
Naturalmente sia coloro che salutano positivamente la nuova disciplina, che consente alla donna di poter assumere il farmaco senza essere obbligata a un ricovero ospedaliero, sia chi lo osteggia, affermando che l’”aborto facile” è pericoloso e inammissibile, dicono di farlo nell’esclusivo interesse delle donne.
Se si può forse capire la tradizionale posizione della Chiesa cattolica, molto meno si giustifica la propaganda di quelle forze politiche teoricamente “laiche” che sembrano ignorare un fatto abbastanza semplice: la rigidità fino a ora imposta dall’obbligo del ricovero per assumere la Ru486 – anche se numerose Regioni avevano adottato direttive diverse, e già qualcuna rumoreggia all’opposto sulla nuova indicazione – non tutela la salute della donne, in quanto nei fatti le spinge a ricorrere all’interruzione della gravidanza per via chirurgica, che è molto più invasiva e pericolosa dell’assunzione della pillola. Inoltre, com’è noto, le attese e le difficoltà non mancano anche qui, per via dell’alto numero di medici ginecologi obiettori.
Vorrei però attirare l’attenzione su un altro aspetto della discussione: si parla giustamente di quello che vogliono e possono fare le donne e della facoltà di poter scegliere davvero liberamente e con le tutele anche di carattere sanitario che la legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza dovrebbe garantire. Viene però quasi completamente rimosso il ruolo che nella determinazione della maternità di una donna abbiamo noi uomini. Non si tratta certo di disconoscere il principio che spetta alla donna decidere sul proprio corpo. Ma di ricordare che assai spesso c’è una responsabilità maschile nel dare luogo a una gravidanza indesiderata.
Da questo punto di vista credo che non vada lasciata completamente cadere l’osservazione fatta dal cattolico L’Avvenire: “ormai siamo al fai-da-te che libera il maschio”. Questo aspetto della relazione, occasionale o meno che sia, tra un uomo e una donna che fanno sesso non è certo imputabile all’adozione, recente, della Ru486, ma a una cultura generale, e in particolare alle conoscenze tecnico scientifiche, che tendono a mantenere in capo alla donna tutta la maggiore responsabilità nei comportamenti che hanno a che fare con la procreazione.
E’ lei che può prendere una pillola contraccettiva, sopportandone gli eventuali effetti collaterali, è lei che si trova a racapezzarsi tra pillole del “giorno dopo”, Ru486 e intervento chirurgico se non vuole partorire.
I maschi, in molti casi, preferiscono fare a meno dell’unico mezzo relativamente sicuro che hanno a disposizione per evitare la fecondazione, il vecchio preservativo. Oltre a interrogarsi sul come mai la scienza non abbia ancora trovato un farmaco anticoncezionale dedicato all’uomo, non sarebbe forse bene accompagnare questo tipo di dibattiti pubblici con qualche richiamo ai comportamenti maschili?
Magari ricordando quell’antico articolo di Pier Paolo Pasolini che illustrava i molti modi di fare all’amore e scambiarsi piacere e tenerezza senza necessariamente rischiare di procurare una gravidanza non voluta. O siamo ancora al punto che queste possibili attenzioni ad una più ricca “ars amandi” vengono avvertite come attentati al comportamento erotico di un “vero uomo”?