Oggi sarebbe la festa della Repubblica, momento istituzionalmente e simbolicamente unitario quanti altri mai. Salvini e Meloni (non ho capito se anche Berlusconi) volevano fare proprio oggi manifestazioni di protesta antigovernativa, per quanto “in sicurezza”, e portare corone per conto loro, separate, all’Altare della Patria. Non si sentono sufficientemente rappresentati dal Presidente della Repubblica?
Strani modi di professarsi “fratelli d’Italia”…
Il segretario del Pd Zingaretti ha proposto un “patto” che dovrebbe coinvolgere imprese e istituzioni nazionali e locali: in certo modo si è rivolto anche alle opposizioni (queste opposizioni…) per raggiungere una maggiore “concordia” nazionale, pur dicendo che non si tratta di cambiare governi e maggioranze. Intanto si continua a discutere di come si potrà viaggiare da una regione all’altra (cosa che scatterebbe da domani) e il ministro degli esteri minaccia ritorsioni contro la Grecia se non accoglierà a braccia aperte gli italiani del Nord. Gli stessi che non vorrebbe accettare nemmeno la Sardegna…
Lasciamo perdere i bisticci tra gli “esperti” sulla natura e sulle intenzioni del virus. Ma anche al netto di queste più insidiose diatribe medico-scientifiche il risultato è una somma leggermente caotica.
Mi viene voglia di cavarmela citando abbondantemente, nei limiti di questo spazio, le parole del vescovo di Bologna Matteo Zuppi, intervistato da Walter Veltroni sul Corriere della sera di domenica. Ecco una sua considerazioni sul momento che stiamo vivendo:
“Abbiamo sfruttato tutte le risorse, ambientali e umane, per edificare una società fragile e vorace. E non sappiamo unirci neanche di fronte alla più grande tragedia del nostro tempo. Soltanto insieme si può pensare di affrontare una sfida come questa. Ma anche in questi mesi, ovunque, hanno prevalso i protagonismi, le furbizie, le polemiche astiose, il piccolo cabotaggio. Costruiamo i muri, ma ovviamente i muri non ci difendono e il virus invisibile dilaga. Ci convince a costruire muri e poi li irride. Questa crisi ci ha messo di nuovo, come succede in tempi di guerra, a confronto con la morte. È un confronto alto e necessario, per la vita. È la coscienza di un limite naturale, chi non lo affronta vive male, vive in maniera sconsiderata. Questo ci aiuta a stringerci di più, a ritrovare parole più vere, ad essere più essenziali. E credo anche a dare una prospettiva spirituale”.
Trovo significativo che in un altro passo il cardinale Zuppi leghi la sua “prospettiva spirituale” a una prassi relazionale: “Se io sono uno sconsiderato e metto in pericolo qualcuno, o se non aiuto qualcuno e scappo, comprometto il suo destino, il mio e quello degli altri. È come se questa pandemia abbia legato gli umani in una “comunità di destino”. Privato e pubblico sono tornati in stretta relazione. Cosa che, in fondo, quando eravamo un po’ più giovani, avevamo addirittura l’ambizione di far coincidere. Il mondo si è improvvisamente interconnesso, da monadi isolate siamo diventate cellule interdipendenti di un organismo unico. L’uomo planetario, fatto di sofferenza, relazione, speranza. Non è soltanto un problema di igiene, è anche una dimensione molto spirituale. E come tutte le cose spirituali deve essere molto concreta e fondata sulla relazione con gli altri. Lo spirituale è l’anima delle nostre relazioni e si nutre di esse, dà senso, linfa al nostro vivere sociale».
Voglio dire che se si avverte sinceramente l’esigenza di una maggiore unità e solidarietà tra diversi, bisogna riconoscere bene quali culture della relazione tra le persone e tra le persone e le cose possono aiutarci a realizzarle davvero.