Il dato Istat non era eclatante ma poteva indicare una tendenza positiva: nel mese di agosto il tasso di disoccupazione italiano è sceso dello 02 % collocandoci in posizione migliore rispetto alla media europea. Aveva quindi ragione il ministro Sacconi di esultare? “Nessuna Cassandra può smentire l’inequivoco segnale positivo” dichiarava infatti (AGI,1 ottobre).
Vedete? Cala la disoccupazione, aumenta la fiducia delle famiglie e tutto va bene (Il Giornale,2 ottobre). Peccato che parecchie cassandre, sindacati in testa, abbiano commentato e, in parte, smentito. Bisogna calcolare anche i cassintegrati, hanno detto e, soprattutto, valutare il tasso di inattività. Inequivoco era il titolo deIl Sole 24 ore il 2 ottobre: “Balzo degli inattivi, giù la disoccupazione”. Infatti quello 0,2 in più corrisponde all’aumento dell’inattività, soprattutto femminile. Insomma, quello che cresce è il numero delle donne che non cercano più lavoro, che si sono date per vinte.
In merito vantiamo un record: in Italia solo il 50 per cento delle donne che potrebbero farlo, lavora (Il Manifesto, 2 ottobre). Ventidue punti percentuali in meno rispetto al tasso di occupazione maschile (voceditalia.it).
E pensare che l’Europa si era data l’obiettivo di un tasso di occupazione femminile pari al 60 per cento! Certo, le “inattive”, come ricorda Chiara Saraceno (La Repubblica, 3 ottobre), sono in realtà attivissime: “sono loro a fare miracoli con bilanci familiari scarsi, producendo con il loro lavoro domestico e di cura enorme e indispensabile valore aggiunto”. Ma forse, proprio per questo, i governanti non si allarmano. Anzi, si compiacciono di questo ritorno a casa. Le “inattive”, scrive Saraceno, oltre a fare al governo un “regalo statistico-comunicativo” forniscono anche “una legittimazione ad ogni riduzione di servizi sociali”.
Probabilmente quella di Saraceno è una lettura tendenziosa, visto che molte donne del centro destra, ministra Carfagna in testa, si dicono impegnate sul fronte dell’occupazione femminile. Ma, a guardare i fatti, a cominciare dalla carenza degli asili nido, non c’è quasi niente che incoraggi le donne, in particolare al Sud, a misurarsi con il mercato del lavoro. Lo sapevamo anche quarant’anni fa: c’è una bella differenza tra sentirsi disoccupate o casalinghe. Una differenza culturale, che a sua volta genera cultura.
Il femminismo ha insegnato a valorizzare il lavoro di cura, a riconoscere il talento femminile nel lavoro domestico (vedi Marina Terragni sull’ultimo Io Donna), ma non bisognerebbe esagerare. L’autonomia economica ha molto a che fare con la libertà.