Bordeaux edizioni ha recentemente pubblicato il libro di Elettra Deiana Il tempo del secolo.Trame di una militanza femminista (pp.288, euro 17,10). Riportiamo qui la prefazione di Letizia Paolozzi
Non accade spesso di leggere una dichiarazione d’amore per la politica delle donne e insieme la decisione, apertamente rivendicata, di cambiare con la politica la condizione di chi patisce angherie e soprusi, di chi è costretto ad accettare forme di vita violente, che si chiamino sfruttamento, disprezzo per il corpo, attentato alla dignità degli individui.
Lo fa Elettra Deiana con “Il tempo del secolo”, consegnando alle parole il compito di svolgere la funzione della memoria in una trama che unisce vicenda privata e tempo collettivo. Un tempo nel quale le donne, di fronte all’esaurirsi delle culture novecentesche, hanno appreso l’importanza delle relazioni. I ricordi emergono dalle pagine del libro: madre e padre che la spingono a difendere il bene prezioso dell’autonomia, la nonna che le insegna il valore della memoria, a partire dalla conservazione delle piccole cose: “Raccogliete tutti i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto” (Giovanni 6, 1-15).
Al contrario di ciò che sarà necessario per tante ragazze degli Anni Cinquanta, lei non ha bisogno di ribellarsi. Di ribellarsi invece sentirà l’esigenza (e dunque la traduzione in azione politica e collettiva) quando il governo Tambroni ottiene la fiducia grazie ai voti dell’MSI mentre immediata sarà l’adesione alla lotta dei manifestanti con le magliette a strisce che a Genova impediscono alla polizia di entrare nei carruggi.
Nata nell’isola ventosa, la Sardegna, dopo la Puglia questa giovane donna approda a Roma. Prende molto presto la patente a testimoniare la raggiunta emancipazione. Arriva il ’68. Tutto si muove. Per la realtà femminile l’anno che trasgredisce porta un di più. Si sfarinano pregiudizi in materia di sesso; la castità va in soffitta nonostante gli appelli per morigerati costumi e le ragazze intravvedono uno spazio di libertà, di una politica dalla quale non siano esclusi i sentimenti: “il personale è politico”.
Sfuggita all’ideale della casalinghitudine, adesso Elettra Deiana pratica l’intervento davanti ai cancelli delle fabbriche. L’attrazione per Avanguardia operaia – composta da lavoratori aderenti ai Comitati Unitari di base, militanti trotzkisti, socialisti, fuoriusciti dal Pci – la porta a Milano dove insegnerà e soprattutto avrà il compito assieme a Edgardo, il compagno della sua vita, di rafforzare un gruppo operaio tra Torino e il capoluogo lombardo. In seguito, condivide le vicissitudini della sinistra radicale tra ridimensionamenti, scissioni, apparizione e altrettanto rapida parcellizzazione (ma i partiti politici più consistenti, ad eccezione della Lega, incontreranno pure loro numerose peripezie).
Tuttavia, nel libro è il racconto dello scacco subìto con il Forum delle donne a denunciare la sua sofferenza. Dicembre ’91, nel partito della Rifondazione comunista Elettra Deiana prova con alcune a dare una spallata al muro di cinta della cittadella maschile ovvero delle difese erette dal potere patriarcale. “Distruggi il patriarcato, non il pianeta” dicono oggi nei “Fridays for future”. Quelle donne ipotizzano di innovare un linguaggio irrigidito, modificare rituali tediosi e inutili, scrollarsi di dosso un’insopportabile e ingiusta gerarchia.
Grande pretesa veramente dal momento che il piatto della bilancia non solo in quella come in altre formazioni politiche e nei commerci sociali pende dalla parte maschile. Difficile che siano riequilibrati, grazie a un articolo dello Statuto, i legami tra i sessi, squilibrati da millenni. Al congresso, l’articolo strenuamente difeso dal Forum sarà bocciato tra applausi e grida da stadio. Peggio ancora, il tentativo di smuovere le cose, di creare ingombro nel partito trova molte dalla parte degli uomini. Per abitudine? Per fedeltà a questo o quel dirigente? Perché “i temi delle donne” sono rassicuranti, perché è meglio pretendere un risarcimento (stare nella segreteria, nel direttivo, ricoprire comunque una carica) senza aprire dei conflitti?
La soggettività che si era affermata negli anni Settanta stenta a aprirsi una strada. Se attraverso il gesto femminista – braccia alzate, pollici e medi uniti ovvero l’iconografia del triangolo – nasceva quella rivolta simbolica tesa a ottenere una modificazione negli scambi quotidiani d’amore, sociali e culturali, con l’ambizione di ribaltare la posizione di pre/dominio maschile, adesso nei luoghi della politica ci si accontenta di una tiepida inclusione con qualche correttivo.
Nel libro sono toccati i luoghi più drammatici, esempio di conflitti sanguinosi, nei quali si è svolto il suo lavoro da parlamentare. Il viaggio a Kabul, i rari fantasmi femminili che si aggirano per le strade di questa “città di polvere”; la missione a Nassirya. C’è il suo io femminile a descrivere con uno sguardo particolare, radicato nell’esperienza, le giornate del G8 a Genova.
Senza alcuna predisposizione a false profondità, indica il contesto storico nel quale quell’esperienza è maturata.
Intanto, stiamo arrivando all’oggi. Al ripiegamento degli stati-nazione, all’Italia per la quale la democrazia perde attrattiva, il Parlamento non ha più autorità. L’autoreferenzialità delle classi dirigenti determina crisi di rigetto. Alla bolla depressiva si sostituiscono orientamenti che spingono verso la società del rancore. Nell’indagare più a fondo nelle contraddizioni, Elettra Deiana insieme ad altre, si domanda come ripudiare una cultura che spinge alla violenza. La leva di trasformazione può consistere nel prendersi cura, in questo paradigma che mette la cura al centro delle relazioni tra persone e politica incoraggiando un agire diverso. Se la realtà cambia, le donne – suggerisce “Il tempo del secolo” – di questa realtà vogliono fare parte.