In un mese stiamo assistendo alla sperimentazione violenta di un rapporto mutato tra i corpi mentre diventa lentissima la microfisica dei gesti.
La socialità è affidata al computer, al telefono. Si vive nell’astrazione. Il parroco della chiesa di Robbiano (Monza-Brianza), forse ispirandosi alla trasmissione tv “Propagandalive”, recita la messa davanti ai selfie e ai ritratti dei fedeli.
Dobbiamo evitarci, stare a distanza. Dalla finestra si lanciano sguardi invidiosi per chi cammina con un cane. Ai cani penzola la lingua. Colpa delle maratone alle quali vengono costretti dai padroni. Alle diciotto ci affacciamo dai terrazzini (chi ce l’ha) per ascoltare “Il cielo è sempre più blu”. Commozione un po’ melensa. D’altronde, il cinismo di questi tempi non ha grande spazio.
I bambini intanto, abituati a un’intensa socialità, invocano la scuola. Hanno di fronte un tempo vuoto, senza piscina, danza, ginnastica ritmica.
E si ribalta il senso delle parole.
Untori erano quelli che alcune donnicciole raccontavano di aver visto dalle parti di piazza Vetra a Milano “imbrattare i muri d’una certa cosa gialla” (Alessandro Manzoni nella “Colonna infame”).
Adesso, i cinesi additano come untori militari Usa che avrebbero portato a Wuhan il virus nato in America. Somiglianza tra cinesi del 2020 e donnicciole del 1630?
Per i governatori italiani delle regioni meridionali vanno considerati probabili untori i pizzaioli, coltivatori, ristoratori, commessi, grafici, studenti saliti al Nord in cerca di lavoro, ridiscesi nel controesodo del 7 marzo dopo l’annuncio del decreto per cui la Lombardia diventava “zona rossa”.
Degli irresponsabili di ritorno con i quali nemmeno puoi usare i metodi “educativi e terapeutici” cinesi, ha detto (voleva essere una battuta, immagino) il governatore della Campania, Vincenzo De Luca. Tuttavia, viene un dubbio: dopo la chiusura di magazzini, negozi, parrucchieri, ristoranti, bar, fabbrichette, perché restare a Milano, Parma, Reggio Emilia? Senza lavoro, senza sostegno, che ci stavano a fare al Nord gli emigrati meridionali?
Di fronte all’avanzata del Covid 19 si capisce che cerchino riparo, protezione. Siamo tutti chiusi in casa e dov’è la loro, di casa? Già. Ma la “grande onda” (Michele Emiliano, governatore della Puglia) si è precipitata nel mezzogiorno, dimentica del disastro di una sanità pubblica senza posti-letto, respiratori, macchinari. Però, la constatazione che nessuno sia riuscito finora a cambiare le cose, difficilmente servirà a fermare il cuoco che vuole tornare a Gela.
Dopo la discesa in massa al Sud (anche in Versilia e in Sardegna dove sono state riaperte le seconde case), il numero dei contagiati sembra cresciuto. Non tutti si sono autodenunciati. Tuttavia, in tanti l’hanno fatto: 20mila in Puglia; 31mila in Sicilia.
Non so se me la sento di scagliare la pietra sui nuovi untori. Nemmeno sui nuovi delatori. La delazione oggi è una sorta di slime che si allunga, si allarga, si appiccica senza perdere elasticità. La sentinella del condominio, il vigilante dei parchi, quello che alza il dito accusatore è un informatore, una spia o l’autore di “spinte gentili” per cambiare i comportamenti, il “segnalatore civico” consapevole che si responsabilizza delle attuali restrizioni? Ti rimprovera perché sei scesa in strada tre volte; conta quante volte ti ha sentita buttare l’immondizia; richiama gli scapestrati, i disobbedienti, i festaioli di Ariano Irpino che volevano celebrare il Carnevale e sono finiti in quarantena.
Certo, le regole non sono tanto sicure e scritte nel marmo. Ieri è uscita una nuova versione dell’autocertificazione meno zoppicante della precedente. Eppure, un giovane maschio si è recato ad Acilia, ha passato la notte davanti alla villetta dell’ex fidanzata, distruggendo la serranda e bruciando un’automobile. Dopodiché, portato davanti al giudice, ha confessato: “Delle limitazioni imposte dal provvedimento non mi importa niente perché la amo”.
Dove si dimostra che l’amore, nonostante il virus, non è scomparso.