Roma: piazza San Pietro deserta
In questi giorni di clausura sono stata sempre costretta a uscire per esigenze varie ogni giorno – per comprare medicine in farmacia, per fare la spesa, per accudire una sorella malata che non vive con me, per recuperare la sacca pesante della palestra prima che chiudesse, per portare dal veterinario la gatta che ha un’otite purulenta e deve fare vari lavaggi alle orecchie, e così via.
Quindi ho potuto solo sbirciare la città vuota, ho notato quel poco che sono riuscita a vedere tra gli occhiali appannati dal mio stesso alito e la mascherina che mi sega sotto l’occhio.
Cerco di uscire molto presto la mattina, non solo perché spero ci sia meno gente=uguale=meno fila, ma anche perché il caldo mi fa sudare le mani incapsulate dai guanti di gomma che di solito non riesco a usare neanche per lavare i piatti. Spesso i guanti (forse è una misura sbagliata) mi rimangono incastrati nella zip del portafoglio, e mi impediscono di scrivere messaggini sullo smartphone mentre sono in fila all’ingresso del supermercato. Insomma, come dire, non vedo l’ora di tornare a casa e liberarmi degli scafandri protettivi.
Nei giorni scorsi pieni di sole, tornando verso casa in macchina, costeggiavo un parco dove, nonostante i divieti, si riversava tanta gente. Senza mascherine e senza guanti e spesso senza rispettare le distanze.
È vero che non c’è “un divieto specifico per fare una passeggiata ma c’è SOLO un forte invito a “non uscire” ma penso che un po’ di logica o di buonsenso non guastino. Infatti ho appena sentito al telegiornale che a Roma e a Milano hanno chiuso anche i parchi.
Molte persone si lamentano e dicono che i muscoli si atrofizzano se non vanno a fare due passi e lo capisco. A questo punto non potendo più andare in palestra, ho riesumato su
you tube gli esercizi di aerobica che faceva fare Jane Fonda negli anni ’80, allora quarantenne. Invece alcune mie amiche, compagne di palestra, hanno un’istruttrice che ha costituito un gruppo e con una apposita
application le guida nei movimenti tutti i giorni, alla stessa ora.
Ci sono persone che devono anche rinunciare ad andare a vedere (in taxi) gli ultimi episodi televisivi del commissario Montalbano a casa di amici. Comincio a pensare che più della paura del virus la gente abbia paura a rimanere sola, con se stessa.
In effetti dopo una certa età molte sono le persone – spesso rimaste vedove – che vivono sole perché i figli e i nipoti – qualora l’abbiano avuti – abitano lontano e i bambini è più prudente rimangano a casa perché si sa che possono essere portatori sani.
L’attività più sviluppata in questi giorni, oltre ovviamente a stare appiccicati alla televisione ventiquattr’ore al giorno, è quella di esorcizzare la paura del virus attraverso battute, vignette, sketch, video e quant’altro. Mai WhatsApp fu usato tanto come in questi giorni e spesso le stesse vignette arrivano in contemporanea da amici completamente diversi a una velocità maggiore della propagazione dello stesso coronavirus.
Oggi mentre attraversavo per andare all’edicola del giornalaio, un taxi si è fermato per farmi passare (!!!!) io, che non avevo fretta, ho insistito che passasse lui, insomma un balletto di gentilezza con una categoria nota per essere considerati campioni di prepotenza stradale. Erano le 9.30 della mattina, lui ha tirato giù il vetro e, con un sorriso un po’ sarcastico mi ha detto: «Tanto ho fatto l’ultima corsa… qui non si batte un chiodo».
Ci voleva il coronavirus per farli diventare gentili!?!
Ma ci sono altri vantaggi positivi. Io abitando in una zona centralissima e presa d’assalto dai turisti, negli ultimi anni ho cercato tanto una casa alternativa, magari a due o tre km di distanza a causa del rumore infernale: i pullman turistici con il motore sempre acceso, l’albergo con i condizionatori a palla, megaristoranti cinesi con clienti giorno e notte, mercatini, arrotini e quant’altro. In questi giorni c’è una gran pace, un silenzio meraviglioso che non sentivo dalla mia infanzia.
Stando in casa si può cercare di trovare e riscoprire tante cose che non abbiamo avuto tempo di fare negli ultimi anni. I due romanzi ricevuti in regalo ai vari Natali che non abbiamo mai avuto tempo di leggere. La crema del viso suggerita dalla dermatologa per fare una maschera
apaisant (chissà perché detta in francese fa molto più effetto!) che abbiamo comprato ma ancora mai aperto.
E che dire di tirare giù i vecchi pastelli e mettersi a fare qualche disegno? O magari chi ha uno strumento musicale in casa (chitarra, pianoforte o altro) si può rimettersi a suonare, anche dopo tanto tempo. Oppure a scrivere.
Insomma è il momento in cui possiamo ricongiungerci con la nostra storia. Trovo che l’isolamento coatto possa far scaturire modalità creative di comunicazione in primis con se stessi.
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