“Le Monde“ del 18 agosto: “E l’economia creò la donna“. Nel pezzo Sylvain Cypel prevede che “ la donna non sarà più l’avvenire dell’uomo, piuttosto lui diventerà il passato della donna“. Non è una notizia di buon auspicio. Dispiace. Per i maschi. Ma se ci pensiamo, nella società della conoscenza, e dei servizi, del web, della new economy, le modificazioni del mondo dl lavoro sono state profonde.
Anche se di operai ce ne sono ancora, la produzione industriale si riduce. Dal 2007 sono andati perduti in America 11 milioni di posti di lavoro: il 66% erano posti di lavoro maschili. Ora sono il 54 % . Intanto, per la prima volta nella storia, il numero di donne diplomate tra i 30 e i 44 anni ha superato quello degli uomini. E il numero di aziende create dalle donne negli ultimi dieci anni è cresciuto il doppio della media nazionale.
Secondo uno studio della Columbia Business School in difficoltà sono le imprese di costruzioni e la metalmeccanica. Significa che a rischiare sono gli uomini. In fondo, nell’economia postindustriale, il fisico e la forza non contano più come una volta. Uomo di marmo, mani callose, scompaiono. E viene in primo piano l’intelligenza sociale, la capacità di comunicare, il saper ascoltare. Pregi femminili come una attitudine finanziaria più saggia e responsabile. D’altronde, il microcredito lo governano le donne. Pare che i maschi siano più portati a “giocare “con il denaro per via degli ormoni. I traders chissà quanto ne hanno, di testosterone.
Comunque, la crisi ha fragilizzato il manager e il suo senso del comando, il gusto del rischio. Scommetteva sull’alta finanza, si rotolava nella bolla immobiliare, era convinto che l’automobile sarebbe andata avanti a inghiottire benzina per i prossimi mille anni. Oggi quel signore lì fatica a mettersi in discussione. Non è flessibile. Se Lehman Brothers si fosse tradotto in Lehman Sisters, magari il gruppo bancario se la sarebbe cavata meglio.
Dunque, in America tutto bene per le donne o il racconto pecca di ottimismo esagerato? Un “sogno” tinto di rosa molto made in Usa?
Vero è che se guardiamo in casa nostra la musica cambia. Se le ricerche (recentemente quella del Cerved sulle manager) evidenziano che le imprese a guida femminile funzionano meglio, che incrementano più velocemente i ricavi, generano più profitti, sono meno rischiose, questa presenza qualificata non viene ancora considerata un vantaggio.
Per rimediare, per uscire dalla condizione del “fanalino di coda“, alla riapertura della Camera – ma l’agenda è tutta rivolta ai cinque punti prendere-o-lasciare del premier in lite con Fini – arriverà un testo di legge bipartisan che impone di riservare un terzo dei posti nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa al sesso femminile.
Bisogna ricorrere alle quote, alle norme antidiscriminatorie. Significa che il lavoro femminile non presenta dei benefici agli occhi delle imprese, del sindacato, dei partiti di sinistra che pure annunciano un giorno sì e l’altro pure di voler ripartire da lì, dal lavoro.
A questo nuovo protagonismo femminile, alla voglia che hanno le donne di tenere insieme lavoro e maternità, alla scoperta che le modificazioni del mondo del lavoro dipendono da quelle dei comportamenti femminili, non guarda quasi nessuno.
Con alcune eccezioni. La Libreria delle donne di Milano, il dibattito che si è aperto – e subito chiuso – sul Manifesto (Rossana Rossanda, Lia Cigarini-Giordana Masotto- Lorenza Zanuso, Alberto Leiss). Per il resto, a essere messi in rilievo sono gli aspetti negativi del lavoro delle donne. Del corpo femminile al lavoro. Precariato, carriere intermittenti, divario nella disoccupazione tra Nord-Sud, redditi più bassi, difficoltà di accedere a posti di responsabilità.
Certo, non si tratta solo di stereotipi. Se non è più una regola la donna a casa, comunque è lei ad assumersi l’80 % dl lavoro domestico e parentale. E pesa enormemente l’assenza di supporti, di servizi sociali. Nell’ambivalenza di una condizione, si continua in Italia a guardare al bicchiere mezzo vuoto. Sfiducia, scoramento. E ditemi voi se non è ideologia questa.