La Giornata della memoria forse ci è apparsa più necessaria di fronte al riemergere di gesti antisemiti e di atteggiamenti razzisti, al linguaggio rozzo e truce sui social. Eppure bisogna anche interrogarsi – come fa il libro I guardiani della memoria, e il ritorno delle destre xenofobe di Valentina Pisanty, edito da Bompiani e recensito su Alias Domenica da Enzo Traverso – sulla scarsa efficacia delle pratiche, culture, istituzioni che custodiscono la memoria, cosa che dovrebbe scongiurare il ritorno del razzismo e dell’antisemitismo.
Il voto in Emilia Romagna, e il successo di un movimento che si oppone al “linguaggio dell’odio”, cantando “Bella ciao” nelle piazze, inventato da gruppi di giovani colti, possono consolarci non poco.
Tuttavia la questione resta. I motivi di questa inefficacia possono essere molti. Ne segnalo uno legato al nesso tra la solidità, o meno, di una tradizione e la potenza formativa che può avere la conoscenza del passato e la sua trasmissione.
Cito due testi non recenti, letti “fuori tempo”, ma credo ancora attuali. Il racconto antieroico e antiretorico della Resistenza che ci ha lasciato Luigi Meneghello con Piccoli maestri. Dove la ricerca di un “ethos” necessario a rifare un paese portato alla vergogna del regime e delle leggi razziali e al disastro della guerra oscilla tra la raffinata cultura umanistica e “azionista” di un gruppo di studenti seguaci di un giovane maestro e la solida generosità di un mondo contadino. Attraverso il filtro dell’ironia sono descritte relazioni simboliche fondamentali: tra i compagni del gruppo, con il maestro, con le donne, con le armi e con la tragedia del rischiare la vita e del dare la morte.
Maestri antiretoricamente “piccoli”, e tuttavia il valore di questa relazione di insegnamento e apprendimento, indispensabile alla mediazione tra sé e il mondo, tra l’io e gli altri/altre, è descritta come fondamentale. Emerge anche, nel resoconto dei fatti e dei sentimenti, che si tratta di una faccenda tutta maschile.
La centralità di questo rapporto per la civiltà e la sua connotazione sessuale sono evidenti nel saggio di George Steiner La lezione dei maestri (Garzanti 2004-2013), raccolta di conferenze del 2001-2, che partono da Platone, Socrate e Alcibiade per arrivare attraverso Dante e Virgilio lungo la Commedia e innumerevoli altri esempi di relazione maestro-discepolo al caso del cattivo allievo (e per molti cattivo maestro) Heidegger, che rinnegò Husserl causandogli un dolore acutissimo.
Steiner ci dice come questa relazione fondamentale possa essere luogo di sentimenti pessimi, ma anche di amore intensissimo, che molto spesso assume la forma di omoerotismo, di omosessualità (simbolica, e non solo). In tutto il libro si parla di pochissime donne: Eloisa, Simone Weil, Hannah Arendt, tutte e tre nel ruolo di “allieve”, rispettivamente di Abelardo, Alain e Heiddegger. L’unica ricordata come grandissima maestra è Nadia Boulanger, musicista francese sconosciuta ai più, alla cui scuola sono cresciuti molti compositori contemporanei.
Ma la emancipazione e liberazione delle donne è vista, con le nuove tecnologie informatiche e il declino della religione, quale fattore dirompente nella decostruzione del tradizionale rapporto tra maestri e discepoli. Negli atenei, soprattutto anglosassoni, c’è ora l’imbarazzantissimo problema delle “molestie”, al posto del vecchio omoerotismo. Mentre le maestre si moltiplicano, e il metoo è ancora di la da venire.
Che sia una crisi, una questione maschile a minare l’edificio della costruzione e trasmissione della cultura e dell’autorità, e quindi della memoria, non è ancora del tutto chiaro.