Pubblicato sul manifesto il 21 gennaio 2020 –
Pensavamo di vivere in un mondo sempre più astratto e virtuale, tutto compreso nel piccolo infinito spazio del nostro smartphone, ma sembra che non sia vero. Le piazze si riempiono di persone fisiche che evocano i fitti banchi di sardine. Alla conferenza sulla Libia di Berlino non possono incontrarsi i corpi dei due nemici Haftar e Serraj, sistemati in stanze separate e a distanza di sicurezza. L’incombente festival di Sanremo accende aspre polemiche sul corpo delle donne. Per l’incauto Amadeus le sue ospiti sono naturalmente “tutte belle”, e si qualificano per stare o meno “un passo indietro” rispetto al più famoso fidanzato. Corpi evocati e maltrattati nei testi di un rapper mascherato.
E poi c’è il corpo di Salvini-Zelig, coperto di felpe di ordinanza quando era ministro dell’Interno, ora ammantato del rosso di Maranello, corpo esposto tutti i giorni in piazza, con le braccia alzate e le mani incrociate a evocare la morsa delle manette. Adesso è lui – dice – a volere il processo per aver sequestrato in mare, su una nave italiana, corpi di migranti incolpevoli. Chiede aule di tribunale molto capienti, perché vuole convocare il corpo fisico del suo “popolo”, e “guardare negli occhi” il giudice che potrebbe condannarlo.
Piccole ma significative folle di amici, compagni e parenti si accalcano intorno al corpo di Bettino Craxi sepolto in Tunisia. Presenza-assenza fisica che ritorna a interrogarci su pagine di storia italiana cariche di ambiguità non risolte.
Ho visto la pubblicità di una enorme automobile di lusso, che si offre in una “black edition”, con lo slogan: “Sono nera. È un problema?”. Si evoca un target di facoltosi maschi bianchi che potrebbero essere eccitati dall’allusione? O rassicurati dal fatto che si parla di un oggetto prevalentemente metallico e relativamente inanimato, e non di un essere umano dalla pelle aliena?
Nero è anche l’oro-petrolio per cui si combatte in Africa e si compete nel Mediterraneo. Sembra di essere tornati alla “politica delle cannoniere” di metà ‘800. O anche alle guerre feudali in cui i baroni si combattevano assoldando le stesse bande di lanzichenecchi.
Persino il mondo propriamente dedicato alle produzioni virtuali, all’accumulo e alla manipolazione algoritmica dei miliardi di miliardi di miliardi di dati che immettiamo ogni minuto nell’universo della rete, e che rischiano di condizionare le nostre coscienze, è fatto di consistenze materiali molto ingombranti. Ne parlava Teresa Numerico alla presentazione del numero di Critica Marxista (4-5 del 2019 – recensito su queste pagine dalla stessa Numerico insieme a analoga iniziativa di Alternative per il socialismo ) che dedicava al digitale una sezione monografica (registrazione integrale sul sito del Crs). I centri che elaborano tutti questi dati sono infatti stabilimenti “industriali” che consumano enormi quantità di energia e di acqua, con effetti pesanti sui territori circostanti. Tanto da provocare duri conflitti con le comunità vicine di agricoltori e residenti. Mentre ascoltavo queste descrizioni pensavo alle guerre tra mandriani cow-boy e coloni contadini alla frontiera del vecchio Far-West…
Chissà che la riscoperta della nostra consistenza corporale e della rude materialità che ci circonda non provochi qualche salutare riflessione anche tra chi si occupa di politica, il cui discorso appare sempre più astrattamente sfocato rispetto a ciò che percepiamo come reale. Così da immettere nelle reti e nei canali ottici che comunque ci connettono qualche parola e immagine più ricca di senso?