Pubblicato sul manifesto il 31 dicembre 2019 –
Sulla Domenica del Sole 24 Ore Claudio Giunta (autore di un tempestivo libretto sulla logica – e sulla “ontologia”- comunicativa di Matteo Renzi: Essere #matteorenzi, Il Mulino, 2015) ha recensito il saggio di Edoardo Lombardi Vallauri La lingua disonesta. Contenuti impliciti e strategie di persuasione (Il Mulino, 2019). Anche in questo libro si esamina a un certo punto il modo di parlare dei politici italiani di maggior – forse effimero? – successo: lo stesso Renzi, e naturalmente Salvini e Di Maio.
Come avviene in tanti messaggi pubblicitari e in certi modi di “conversazione” sui social, la disonestà si manifesta nel disimpegno da ogni tentativo di descrivere la realtà e la sua complessità, sia pure con parole capaci di attirare l’attenzione di pubblici larghi, per affidarsi a formule accattivanti e fondate su “contenuti impliciti, impliciti linguistici, presupposizioni, vaghezze”. Dire per esempio, renzianamente, “Il passato non ci basta e il futuro è casa nostra”, che cosa mai potrà significare? Simili artifici – per l’autore del saggio – “sono sfruttati per indurre una processazione meno vigile e meno accurata dell’informazione” favorendo alla fine comportamenti mentali e elettorali – o nel consumo di prodotti commerciali – che in realtà sarebbero contrari al “proprio interesse” e a ciò che – se non fossero condizionati – “riconoscerebbero essere il bene comune”.
Esistono dunque metodi, per così dire, scientifici per smascherare la lingua disonesta e metterci al riparo dal suo malefico influsso?
Opportunamente il recensore solleva anche qualche interrogativo sulla possibilità di tracciare una linea netta tra onestà e disonestà, pure sul terreno del linguaggio. E cita espressioni che appartengono a grandi comunicatori del passato che non metteremmo, immagino, sullo stesso piano dei giovani leader nostrani citati: da Kennedy a Martin Luther King, e persino al messaggio evangelico di Gesù.
Certo bisognerebbe a questo punto estendere l’analisi dalle proposizioni linguistiche alle concrete azioni politiche, ai loro obiettivi, ai risultati, e alle biografie degli autori di quelle proposizioni .
Ci vorrebbe anche una riflessione sul significato stesso della parola “onestà”, insidiata a mio modo di vedere da quella radice che porta al concetto di “onore”, termine ormai carico di ambiguità e appesantito da una anacronistica matrice patriarcale.
I grillini hanno vinto al grido di “onestà, onestà”, ma vediamo anche in questa richiesta elementare – e certo lì per lì condivisibile – tutti i rischi di un ammiccamento che poi produce derive giustizialiste, mischiate a incompetenza e approssimazione, a dir poco, nell’attività di governo.
La cosa buona, mentre le librerie e le edicole si riempiono di testi che si dedicano con successo all’amore per le lingue, antiche e moderne, i significati delle parole, il valore civile della letteratura, è che la propaganda carica di odio, rancore, volgarità e trucchi retorici sembra determinare una rivolta abbastanza ampia. Le piazze si riempiono di movimenti ambientalisti, femministi, antipopulisti.
Non tutto il male viene per nuocere, si potrebbe ripetere con il noto “luogo comune”. Restando però in guardia su tutti i “fronti”. Quando le simpatiche Sardine, dopo la grande manifestazione romana, enunciano richieste tra cui una afferma: “la violenza venga esclusa dai toni della politica e anzi … la violenza verbale venga equiparata a quella fisica” vedo il rischio che la conclamata mitezza si trasformi nel suo contrario, riducendo tutto (come piace proprio ai populisti) a faccenda normativa e semmai penale.
Non sarà disonesto, ma è sbagliato.