LA VITA INVISIBILE DI EURIDICE GUSMÃO – Film di Karim Aïnouz. Con Carol Duarte, Júlia Stockler, Gregório Duvivier, Barbara Santos, Flávia Gusmão, Antonio Fonseca, Cristina Pereira, Maria Manoella, Brasile 2019. Fotografia di Hélène Louvart, musiche di Benedikt Schiefer –
Quanto sono stati duri e bigotti gli anni Cinquanta in Brasile, specialmente per le donne! Il regista Karim Aïnouz li narra traendo liberamente il film dal romanzo Eurídice Gusmão che sognava la rivoluzione di Martha Batalha (Feltrinelli, 2016), e cioè la storia di due sorelle legatissime e complici, giovani e piene di vita, che per una serie di circostanze vengono divise nella vita.
Karim Aïnouz con questo film induce a riflettere sui valori della famiglia e su quei legami che contano davvero e che possono arrivare anche a sostituirla in parte. Vuole inoltre sottolineare il ruolo della donna in una società patriarcale. L’invisibilità del titolo è proprio il destino della donna: «Mia madre è l’ombra di mio padre» dice a un certo punto Guida che si ribella alle convenzioni.
Nate da una famiglia piccolo borghese di genitori portoghesi espatriati in Brasile, Euridice (interpretata dalla bravissima Carol Duarte) ama suonare il pianoforte e ha come unico sogno quello di andare a studiare al Conservatorio di Vienna. Invece la sorella (interpretata dall’altrettanto brava Julia Stockler) maggiore di due anni, più esuberante, ama flirtare con i ragazzi e si invaghisce di un marinaio greco con il quale scapperà nel Vecchio Continente, che sembra avere ancora un grande fascino per entrambe. Imparerà a sue spese il senso del detto “promesse di marinaio”; infatti, rimarrà sola e incinta. Ritorna quindi a casa dai genitori e dalla sorella, a Rio de Janeiro, ma sarà invece cacciata di casa dal padre (Antonio Fonseca) che considera un onta troppo grande avere una figlia che è una ragazza madre.
Le due sorelle sono due modi opposti di essere donne: mentre Euridice è l’archetipo di una donna introversa che segue il dover-essere imposto dalla famiglia, timorata della figura paterna, e “invisibile” nel modo di vestire e di comportarsi nella vita, Guida invece è ribelle, appariscente e in continuo contrasto con l’autorità, sarà ingannata per amore, ma alla fine è proprio nella maternità non voluta che troverà il senso della vita.
Il regista segue così le vite parallele delle due donne che, separate, sembrano essere entrambe destinate all’infelicità. Ne mostra tutte le difficoltà, quelle economiche di Guida che deve tirar su un bambino da sola, e quelle fisiche di Euridice che non vuole avere figli e mal sopporta le eccessive effusioni del marito Antenor (interpretato da Gregório Duvivier).
Le due sorelle continueranno a cercarsi sempre: per tutti gli anni ‘50 e ‘60 Guida continua a scrivere lettere alla sorella pensandola a Vienna a condurre una vita da concertista, mentre Euridice ingaggia un detective, non particolarmente bravo oserei dire, per rintracciare la sorella ovunque essa sia.
La pellicola è girata in 16 millimetri, con una notevole ricerca cromatica e con l’effetto stop focus delle immagini vecchie, curate dalla sapiente mano di Hélène Louvart. Euridice vive prevalentemente in interni claustrofobici dove la cinepresa è fissa e con poca profondità di campo, mentre quelli in cui si muove Guida sono più spaziosi, ma minacciosi. La Rio de Janeiro degli anni ’50 è dipinta come una città inospitale fatta di vicoli e prostituzione. A parte l’incipit iniziale pienamente naturale con mare, verde e roccia, solo alcuni panorami qua e la mostrano l’inconfondibile skyline del golfo di Rio.
La grande attenzione alle ambientazioni è dovuta anche al fatto che il regista è laureato in architettura, ed è un visual artist. Ha realizzato varie installazioni oltre che documentari, fiction televisive e diversi altri lungometraggi selezionati a Cannes, Berlino e per due volte a Venezia. Così afferma: «Ero intenzionato a raccontare una storia di solidarietà”, una storia che sottolineasse il fatto che siamo molto più forti insieme di quanto lo siamo da soli, indipendentemente da quanto potremmo essere diversi. Con “La vita invisibile di Eurídice Gusmão”, ho immaginato un film con colori molto saturi, con l’obiettivo molto vicino ai personaggi, che palpitasse con loro. Ho immaginato un film pieno di sensualità, di musica, di dramma, lacrime, sudore e mascara, ma anche un film gravido di crudeltà, violenza e sesso; un film che non ha paura di essere sentimentale, più grande della vita stessa – un film che battesse con i cuori delle mie due amate protagoniste: Guida ed Eurídice».
“La vita invisibile di Euridice Gusmão” è stato premiato come miglior film al 72mo festival di Cannes nella categoria Un certain regard ed è candidato a rappresentare il Brasile ai prossimi Oscar.