Pubblicato sul manifesto il 2 aprile 2019 –
Il convegno sulla famiglia di Verona e la grande manifestazione (trans)femminista che lo ha contestato – senza peraltro voler togliere la parola a nessuno – hanno dato luogo a una quantità di invenzioni linguistiche, di immagini e di contraddizioni che potrebbero anche essere feconde, per l’idea che ci facciamo delle nostre vite e di quelle altrui, e persino per un certo (possibile?) risollevarsi del dibattito politico.
Un primo esempio. Alla protesta promossa dalle donne di Non una di meno è stato distribuito un volantino meravigliosamente intitolato “Bon Ton Transfemminista del Corteo”. Un testo che dovrebbe essere seriamente meditato da generazioni di maschi – come me – che hanno dovuto fare i conti con decine, centinaia di manifestazioni in cui c’era chi voleva menar le mani (o qualcosa di peggio), con “servizi d’ordine” che avevano l’ingrato compito di “difendere” i cortei dalla polizia o dai fascisti, ma anche di prevenire controproducenti azioni e reazioni violente dall’interno del corteo stesso. (C’erano poi i “servizi d’ordine” votati per primi al disordine violento).
Chi ha scritto questo volantino sembra avere qualche conoscenza e esperienza del problema, ma lo affronta da un altro universo mentale. Testimoniato da frasi come queste: “Durante tutto il corteo ci sarà un gruppo “Rispetto e simpatia”, caratterizzato da una fascetta fucsia con una fiamma dorata intorno al braccio (…) In corteo siamo tantissim*, fai attenzione a non mettere nessun* in pericolo. Non sarà accettato nessun atteggiamento oppressivo: è chi subisce a stabilire ciò che è violenza. Mettiti in ascolto: “No” vuol dire “No”. Non fare battute, complimenti o commenti non richiesti, stai attent* alle persone che ti circondano, la cura di questo corteo è collettiva ed è fondamentale l’aiuto di tutt*”.
Segue l’invito a reagire a eventuali molestie, violenze o provocazioni “fasciste e machiste” solo rivolgendosi allo stesso gruppo “Rispetto e simpatia” o al camion delle organizzatrici più vicino.
Anche il ministro Salvini dovrebbe studiarselo un po’: si vuole “costruire un momento che sia davvero sicuro”, ma con un’idea di sicurezza che sembra ripudiare certe concezioni brutali della “legittima difesa” e scommette sull’anticorpo della gentilezza. (Mi viene in mente che anche un feroce comunista come Brecht si augurava un mondo in cui si potesse essere gentili…)
Qualcosa, per fortuna, si insinua persino nelle menti più conservatrici. L’organizzatore del convegno veronese, Massimo Gandolfini, è stato contestato prima di tutte da sua figlia Maria, ma ha avuto nei suoi confronti parole di lodevole indulgenza paterna. E persino nel documento finale approvato dal consesso che si è aperto con l’orrore dei piccoli feti di gomma, si parla anche di “diritti” delle donne.
La cronaca di ora in ora ci racconta di donne vittime di brutali violenze maschili, ma credo che la vera questione sia la loro forza e libertà, contro la quale si scatenano aggressioni non più tollerabili.
Il ministro dell’interno si è sentito obbligato a assicurare che la legge 194 non si tocca (il vero problema, ha aggiunto in modo surreale, è “l’estremismo islamico”). Il sottosegretario grillino Spadafora, ha promesso – il giorno dopo il corteo – che il disegno di legge Pillon non approderà mai nelle aule Parlamentari (per ora resta in commissione). Vedremo.
Alla famiglia “naturale” preferisco quella “frizzante” (altro indimenticabile striscione inventato a Verona), anche se le bollicine possono far prudere il naso. Ma chi vuol comportarsi secondo (la sua?) natura, che libero e lieto sia!