Pubblichiamo la presa di posizione di donne e credenti sul DDL 735 (Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità) presentato dal Sen. Pillon al Senato il 1 agosto 2018.
Questo testo a noi sembra importante perché mostra il divario tra messaggio evangelico e il DDL 735.
Ma a colpirci è stata in special modo la posizione di autorevolezza con la quale le autrici chiedono quel rispetto che deriva “innanzitutto dall’essere donne”. I semi del femminismo sono sparsi in tante direzioni.
(il testo è sul sito : Donne per la Chiesa)
Con questo documento vogliamo espressamente occuparci del DDL 735 (Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità) presentato dal Sen. Pillon al Senato il 1 agosto 2018, che sta sollevando molte discussioni e generalizzate critiche da parte del mondo psicologico-giuridico e del diritto.
Il DDL si compone di 24 articoli e, nell’ottica di chi lo ha elaborato, dovrebbe garantire al figlio minorenne di coppie separate una più corretta applicazione della legge 54/06 sul cosiddetto affidamento condiviso, attraverso una serie di passaggi di una certa rilevanza, sulla scorta di un rigido principio di bigenitorialità.
Lasciamo a operatori più esperti e competenti i profili di critica agli aspetti psicologici, processuali, del diritto e della tutela effettiva delle parti più deboli del rapporto familiare.
In quanto donne e credenti ci interessa sottolineare un altro aspetto che attiene alle premesse culturali della riforma, più che alla regolamentazione che essa propone.
I proponenti (a partire dal senatore Pillon, eletto nelle file della Lega Nord) hanno in più occasioni ribadito le proprie radici culturali come cristiane ed in particolare cattoliche e hanno di conseguenza proposto e reclamizzato la propria azione politica, con ciò esprimendo una visione integralista sia della religione che del suo rapporto con la politica.
Questo fatto ci trova profondamente contrarie e ci induce a intervenire nel dibattito per contrastare con forza un atteggiamento che piega e riduce un pensiero ed una tradizione secolari e complessi alle idee di pochi, a poche idee, a idee che in gran parte appaiono in contrasto con il messaggio rivoluzionario e di misericordia che ci ha fatto innamorare ed iniziare un cammino che chiamiamo fede cristiana.
Prendiamo parola convinte che la nostra autorevolezza e il rispetto che pretendiamo derivino innanzitutto dall’essere donne.
Donne che vivono nel mondo, donne con figli e con mariti, donne senza figli e senza mariti, religiose, donne che hanno generato non fisicamente ma nell’amore e nella dedizione agli altri o al proprio lavoro, donne che sono state sposate e non lo sono più, donne che hanno sposato uomini che venivano da altri matrimoni o altre storie, donne che si sono a loro volta risposate; pensiamo che la nostra credibilità venga non solo da quello che diciamo, ma dal fatto che siamo donne reali, donne che hanno vissuto sul proprio corpo cosa significa generare un figlio o scegliere di non generarlo, stare accanto ad un uomo che ti ama e stare accanto ad un uomo che non ti ama più, siamo o abbiamo amiche sposate, single, divorziate, separate.
Abbiamo l’urgenza e la forza, poi, dell’assertività che viene dall’essere donne di fede.
Fede vissuta, cammini iniziati, interrotti, ripresi, cadute e nuovi inizi, dubbi, domande, critiche, preghiera, ascolto, nessuna certezza ma anche impegno in piccole e grandi realtà parrocchiali e comunitarie, in mille forme di volontariato, nella carità delle piccole cose e delle grandi fatiche silenziose, fede che ci accompagna nella educazione dei nostri figli e nelle Chiese sempre più vuote e nelle Messe in cui vediamo, a dire il vero, molti pochi di quegli uomini che invece si fanno forti sbandierando “valori cristiani” sulle pubbliche piazze.
Il substrato culturale del decreto parte innanzitutto da una immagine del tutto stereotipata della donna e dalla volontà di confinarla nel ruolo di madre e di moglie.
Noi crediamo, invece, che ogni essere umano sia chiamato ad una sua personalissima realizzazione (che è la tensione verso il divino presente in ognuno di noi) che si compie nell’amore per Dio e per i fratelli e le sorelle, ma che in ciascuno può trovare i modi e le manifestazioni più diverse: porre ostacoli alla vocazione di un essere umano, anche in nome del “valore della famiglia” significa frapporsi tra un’anima e il suo Creatore.
Invochiamo con forza la necessità di liberare il messaggio cristiano dai limiti culturali del contesto in cui avvenne la predicazione di Gesù e soprattutto denunciamo, con ancor più forza, l’utilizzo della religione come strumento di potere, nel nostro caso di potere patriarcale che ha buon gioco nell’estrapolare e strumentalizzare alcuni passi delle scritture per legittimare una condizione di inferiorità femminile che non può riferirsi al messaggio evangelico, ma che si ha estremo interesse a mantenere immutata.
Altro aspetto fondamentale è quello del rapporto tra uomini e donne nel matrimonio. Troppo spesso il profondo e sacro legame che nelle Scritture si auspica esistere tra uomo e donna (Marco 10, 6-9) viene interpretato non come unità, ma come proprietà l’uno dell’altro.
La conseguenza è che valori come la fedeltà e l’indissolubilità vengono a valere a senso unico e lungi dall’essere, come dovrebbero, i segni esteriori dell’amore unitario, diventano unicamente mezzi per l’esercizio di un potere, in un legame matrimoniale che non vede la dignità di un rapporto fra pari, ma egoismo, umiliazione e controllo.
Per quanto riguarda le proposte del decreto riguardo ai figli è evidente l’errore di prospettiva, adultocentrica, del prevedere obbligatori tempi di paritetica spartizione del figlio nel più totale oblio del suo vero interesse. Noi donne credenti sentiamo l’urgenza di manifestare la nostra contrarietà a questa visione che ferisce per la totale mancanza di rispetto per i figli, tramite la sottrazione della loro soggettività e riducendo la loro libertà di esseri che sono già persona in pienezza, ancorché bambini. Se perdiamo di vista questo valore, tradiamo la visione cristiana del rapporto di filiazione, e in generale dell’attenzione verso i più deboli oltre a valori etici che vengono ancora prima e attengono alla dignità e ai diritti della persona umana.
In conclusione se il pensiero cristiano, nella storia, si è reso colpevole di aver tramandato un ideale di femminilità fatto di docilità e passività, asseriamo con forza che non è questo il progetto di Dio sull’uomo e sulla donna, per come Gesù Cristo lo ha proposto nel suo Vangelo. La Chiesa ha troppo spesso scelto di mantenere il silenzio sulla violenza domestica, sull’abuso e sulla sottomissione, per preservare lo status quo, ma oggi che sta uscendo finalmente allo scoperto con una importante azione di verità sulle proprie colpe, non possiamo accettare che la società civile -che si appella ai principi cristiani- vada nella direzione opposta, riproponendo un modello familiare fatto di predominio maschile e subordinazione femminile.