Mi dev’essere già capitato di dire che non amo le “giornate della memoria”, tuttavia credo di comprendere bene le ragioni che le motivano, massimamente quelle che si riferiscono a eventi della storia che dobbiamo fare veramente di tutto per continuare a conoscere e non dimenticare. E’ certamente il caso del ricordo delle persecuzioni naziste e fasciste contro gli ebrei, e altre categorie di “diversi”, e di tutto quello che si trascinano dietro fino ai nostri giorni.
Ho guardato appesi in un’edicola, gli uni accanto agli altri, alcuni calendari del nuovo anno con il faccione di Benito Mussolini – prodotti immagino per un pubblico di nostalgici – e i libri diffusi in questi giorni che denunciano, con scritti degli ultimi sopravvissuti, il genocidio nei campi di concentramento.
Si tratta dunque di ricordare, ma di farlo – come dicono i gesuiti – con discernimento. Una cura del giudicare che per essere tale, non può non riferirsi anche a quanto accade oggi.
E’ una faccenda così importante e difficile che, anche questa volta, scelgo di avvalermi di un’autorità sicuramente più alta della mia. Parlo di un uomo che negli anni della guerra contro il nazifascismo stava dalla parte giusta – nei ranghi dell’Armata Rossa – e che patì personalmente, essendo di origine ebrea, l’antisemitismo diffuso anche nel regime staliniano. Inoltre era anche un uomo dalla mente acuta e libera, amante della verità, e non privo – credo – di senso dell’umorismo. Quindi esposto a rischi terribili. Nonostante tutto questo Jurij Michailovic Lotman, grazie alla sua intelligenza e alla straordinaria cultura e inventiva, è riuscito a vincerla contro il male, lasciandoci una preziosissima eredità di conoscenza e di umanità.
Nel 2017 sono state tradotte in italiano, presso Bompiani, con il titolo Conversazioni sulla cultura russa, le “lezioni” televisive che per alcuni anni, tra il 1986 e il 1991, tenne per una emittente estone. Vi si parla della storia russa, ma – o forse proprio per questo – il respiro del racconto vale per ognuno di noi e per il mondo intero.
Eccone qualche citazione.
A proposito del rapporto tra cultura e memoria: «Se riflettiamo (…) sulle questioni etiche, artistiche, familiari, storiche (ciò che rientra insomma nel concetto di cultura), allora vedremo che tutti questi concetti hanno qualcosa in comune: la cultura è memoria. La cultura prende forma sia a livello del singolo che all’interno della società, quando agisce la memoria attiva».
A proposito dei nessi tra cultura, libertà, identità: «Un’esperienza culturale autentica consiste (…) nella ricerca di contatto con l’altro, perché sto rendendo più complesso (e non più semplice) il mio mondo interiore. Sembra un paradosso, ma più lo semplifico, meno sono libero, anche se mi sembra di esserlo. (…) Mi riferisco al desiderio di appartenere a un gruppo e di essere uguali agli altri. Questo è il prezzo che occorre pagare non solo per la semplificazione delle emozioni (…) ma anche per quel voltafaccia che è avvenuto di recente e che prosegue tuttora, ossia il voltafaccia nei confronti della cultura. (…) Essere consapevoli di noi stessi e di ciò che si ricrea in noi è possibile solo vedendo l’altro. Solo riconoscendo che non è uguale a me posso capire chi sono io. Perché tutti tendiamo spontaneamente a pensare che chi non parla la nostra lingua, balbetti e basta e non capisca niente. E invece dopo questa reazione elementare, bisogna saper passare alla seconda fase, quando si capisce tutt’a un tratto che anche la sua è una lingua. Allora succedono cose molto interessanti».