Pubblicato sul manifesto l’8 gennaio 2019 –
Per un coincidenza che ho considerato fortunata in queste feste, ormai alle nostre spalle, per due martedì consecutivi i quotidiani non sono usciti.
Vacanza imprevista e gradevole per il rubrichista del giorno!
Tanto che oggi, davanti alla “pagina bianca” del computer, non riuscivo a vincere la pigrizia, a riarticolare le dita sulla tastiera, a farmi venire qualche idea non troppo banale o strampalata.
Commentare la miserevole, indegna commedia-tragedia italiana e europea di fronte ai 49 migranti in balia delle onde da prima di Natale?
Protestare per l’aggressione fascista (ennesima) a alcuni colleghi dell’Espresso?
Interrogarsi sull’innocenza dichiarata da Kevin Spacey nel processo per molestie in cui è comparso ieri?
Decifrare il surreale “tecno-messaggio” di fine anno del comico Grillo, con il suo invito – rivolto a chi? – di non smarrire la propria “umanità”?
Tutte cose difficili, impegnative.
Allora, come già qualche altra volta, mi sono affidato al caso: aprendo un libro amato per scommettere su una imprevista citazione adatta. Adatta a che cosa? A questo mio – forse passeggero – momento di abulia…
Ecco che cosa mi ha regalato il ricchissimo Henri Michaux, dal volumetto “Passages”, tradotto nel 2012 da Adelphi:
“La durata di una settimana, e ancor più quella di un mese, per non parlare di quella di un anno, è una cosa talmente difficile da afferrare che alcuni, quasi disperati di fronte a uno spettacolo così sfuggente, si abbandonano a una cupa esaltazione e compiono gesti inauditi, i più incisivi, a loro avviso, fra tutti i gesti eroici, nella speranza di poter un giorno rammentare qualcosa di un’esistenza che fugge via senza mai lasciarsi inchiodare, per poter conservare nella memoria almeno una di quelle giornate, che altrimenti, senza il loro tempestivo intervento, sarebbero destinate a inabissarsi nella fossa comune. Costoro credono che, così facendo, ne conserveranno per lo meno una su alcune migliaia e, anche se si sbagliano, dato che nel giro di pochi secondi essa svanirà dalla loro mente come da quella degli altri, il fallimento non è totale”.
Il ragionamento prosegue con considerazioni interessanti sulla differenza tra il “vivere” davvero, pur correndo il rischio dell’oblio, e il superficiale “prendere nota” del vissuto, proprio o altrui. Chi si fosse incuriosito, vada a leggersele.
Aggiungo solo che sono cose scritte nel 1949. A me suggeriscono, forse, una spiegazione del perché, oggi che disponiamo di facebook e della coorte di altri “social”, siamo così frequentemente indotti a esagerare nell’esprimere pubblicamente (nel relativo ambito pubblico di chi ci “segue” in rete) un’idea, sentimento, racconto di un’azione.
L’inafferrabilità del tempo come motivazione più profonda, per così dire, dei comportamenti eccessivi e compulsivi che ci circondano?
Con l’avvertenza che la continua ricerca dell’enfasi, più o meno “eroica”, in ciò che si vive e in quello che si “annota”, magari spinti dal desiderio poco consapevole di non dimenticare se stessi, travestito da ambiziose mete ideologiche, può anche accumularsi in catastrofe.
Erano anni bui. La data del 1942 è in calce ad altri “passaggi” di Michaux, tra cui questo:
“Bombarderemo anche gli angeli prima o poi?
Se esistono, prima o poi devono aspettarsi di essere trapassati da scariche, frammenti atomici, vibrazioni nocive.
E’ improbabile che, nell’enorme sommovimento di minuscole, eterogenee perturbazioni fisiche, non ve ne sia una che li disturbi.
Prepariamoci a sentir urlare lo spazio”.