Ma guarda! Viviamo in una città che non è poi così “cattiva, feroce, cadaverica” (Aurelio Picca in quel testo straordinario intitolato “Arsenale di Roma distrutta” Einaudi, 2018).
Infatti, da giorni compaiono cerchi disegnati con la vernice gialla delle bombolette spray. Li vedi a Ponte Milvio, all’ingresso della Cristoforo Colombo, a Santa Croce in Gerusalemme, a viale Romania.
La prima a tracciarli è stata Graziella Viviano, madre di Elena Aubry, morta sull’Ostiense per una caduta dal motorino. Gli incidenti nella Capitale somigliano a un bollettino di guerra. Nel primo semestre di quest’anno settanta vittime della strada: scooteristi e pedoni, automobilisti e motociclisti.
La causa? Spesso dipendono dalle cavità, dalle fessure, dai rigonfiamenti dell’asfalto per via delle radici degli alberi. Altre volte il killer è la buca.
D’altra parte Roma si muove in un tessuto stradale di 5.500 chilometri. Chi gestirà la manutenzione? Il vicepresidente dell’Acer, associazione dei costruttori romani, invoca un intervento del governo che andrebbe considerato “grande opera”. Quanto ai “tappetini” di tre centimetri che rifanno gli strati superficiali, sono una toppa per rinviare la soluzione.
Il Codacons si è limitato a proporre alle grandi aziende di adottare ognuna una strada per il rifacimento dell’asfalto. In cambio, una targa ricorderà il nome di chi ha reso un servizio ai cittadini. E otterrà una pubblicità trasparente.
Intanto però bisogna cercare di fermare il massacro. Compaiono i messaggi dei cerchi gialli. Nominano la voglia di tenere un discorso pubblico, che escluda l’aggressività; si incaricano di operare per il bene collettivo; rivendicano un principio di fraternità, di solidarietà. E anche più efficienza e attenzione da parte di chi amministra la città.
Alla sindaca i cerchi non devono piacere particolarmente. Inciampata in una buca a Largo Goldoni, ha detto di voler evitare “ interventi spot che di fatto servono solamente per metterci una pezza che poi si riapre dopo qualche mese”. Virginia Raggi non sembra credere in quel sentimento che pervade molte persone rispettose dei propri simili. Non attribuisce valore allo stare insieme né lo considera un collante del bene comune. Non si fida dei tanti modi di coltivare le relazioni, di garantire la coesione sociale.
Lo dimostra la vicenda della Casa Internazionale delle donne e la decisione della giunta romana 5 Stelle che, puntando esclusivamente sul principio di legalità (servizi affidati tramite bando), si muove con una sorta di bieco realismo per tirare
un rigo sulla storia, sulla memoria di un luogo capace di lavorare a consolidare i legami e la libertà femminile.
Meglio che le persone si chiudano in se stesse, che “si ritirino nel proprio guscio” (Richard Sennett “Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione” Feltrinelli 2012, traduzione di Adriana Bottini)?
Magari i cerchi gialli non daranno risultati duraturi. Tuttavia, possono suggerire che c’è gente che vuole guardare fuori, affacciarsi al mondo.
Quanto ai risultati, li darà lo “sviluppatore web” assunto a una cifra annuale consistente, con l’incarico di “coordinamento e omogeneizzazione dei processi d’indirizzo” onde “verificare l’idoneità al conseguimento degli obiettivi”?
Di fronte a una simile spiegazione, buttarsi a “colorare” le buche, mi sembra un modo preciso e deciso di prendersi cura degli altri.