Pubblicato sul manifesto il 19 giugno 2018 –
Parla tanto Salvini e si parla tanto di Salvini che forse sarebbe meglio sfruttare ogni occasione per tacerne. Tuttavia qualche giorno fa mi ha proprio irritato l’ennesimo annuncio guerresco, mentre la nave “Aquarius” era ancora in mare, aspettando di poter attraccare a Valencia. Rivolgendosi ad altre navi delle Ong impegnate in operazioni di salvataggio di fronte alla Libia, ecco l’esternazione, naturalmente su facebook, del nostro: “Sappiano questi signori che l’Italia non vuole più essere complice del business dell’immigrazione clandestina, e quindi dovranno cercarsi altri porti (non italiani) dove dirigersi. Da ministro e da papà, lo faccio per il bene di tutti”.
Orrendo il sottinteso – ormai per molti divenuto senso comune – che le Ong siano tutte indiscriminatamente e direttamente complici di un traffico disumano – ma la goccia che ha fatto traboccare il capiente vaso della mia moderazione è stato quel “da ministro e da papà”. Certo Salvini, ministro – ahimè – lo è, e si può capire che, specialmente in questo scoppiettante avvio, senta il bisogno di ricordarlo al pubblico. E’ anche, in effetti, padre. Ma perché sottolineare questa sua condizione personale? Lo fa con insistenza (lo ha notato su questo giornale anche Tommaso Di Francesco https://ilmanifesto.it/salvini-papa-e-la-pacchia-dei-migranti/) quindi non si tratta di un caso.
Ho imparato molti anni fa dal femminismo che “il personale è politico”, tuttavia ciò non vuole affatto dire – sono convinto che anche Salvini può apprezzare la distinzione – che di conseguenza il “privato” sia necessariamente “pubblico”.
Se succede ci deve essere un motivo, forse più d’uno.
Il capo della Lega non perde occasione di propagandare la sua concezione dell’antico motto “Dio, patria, famiglia”, brandendo il vangelo e il rosario, apprezzando le parole del Papa solo quando gli fa comodo (sulla famiglia composta sempre e soltanto da mamma e papà) e offrendo un’immagine coerente a questa ideologia, leggermente omofobica, con il proprio vissuto (la compagna che stira la camicia, lui con la figlia – avuta da un precedente matrimonio – al parco giochi…).
Azzardo una seconda ipotesi: il ministro si presenta anche come papà sollecito per il bene dei figli – significativamente affiancati a tutti noi cittadini (“lo faccio per il bene di tutti”) – perché in un angolo del suo cuore e del suo cervello lo sa che sta dicendo e facendo cose eticamente esecrabili. Quale “padre di famiglia” affettuoso lascerebbe per nove giorni dei bambini, e anche delle donne incinte, in balia delle onde per ottenerne vantaggi politici e elettorali?
Vorrei interpretare positivamente un altro lapsus del ministro: si è risentito perché qualcuno lo ha chiamato “fascista”. Girerei anche a lui il semplice quesito che Giancarlo Carofiglio ha indirizzato al premier Giuseppe Conte (che si è definito “populista”): lei è antifascista? Risposte possibili: sì o no.
Per Salvini dovrebbe essere più facile rispondere. Il suo predecessore Umberto Bossi – era il lontano 1994 – non esitò a sfidare fischi e contestazioni per partecipare alla manifestazione del 25 aprile a Milano, dimostrando così apertamente il proprio antifascismo.
Ma il papà di tutti gli italiani – nonostante abbia militato in gioventù nella corrente dei “Comunisti padani” (5 seggi nel cosiddetto “Parlamento della Padania”) sembra forse preferire le offerte di consenso da parte di Casapound.
Da avversario sincero (e da papà!) gli consiglierei in ogni caso di lasciare fuori i figli dalle sue scelte politiche. Teniamoci strette le nostre molto probabili colpe paterne.
PS: Ho visto che il 23 giugno scorso anche Claudio Cerasa sul Foglio ha affrontato lo stesso argomento.