Veramente, bisogna cambiare il regolamento del Pd. Ci rendiamo conto che agli italiani non gliene importi quasi nulla, presi come sono e giustamente, da difficoltà più tangibili, e tuttavia, per far uscire il partito dalle sue pene, affinché mostri una fisionomia, e indichi delle soluzioni ai problemi, l’attuale regolamento del Pd è un problema. In effetti – scusate il bisticcio – quello che dovrebbe venire dopo, si svolgerà prima. Cioè il Congresso del Pd nella forma di “convention“, ovvero di convenzione. Per quanto appaia bizzarro, le primarie saranno delle secondarie. E questo è già un ostacolo a chi volesse – noi tra le tante e tanti – evitare di invilupparsi nella tediosa discussione tra vecchio e nuovo; ritorno al passato e futuro alle spalle; organizzazione liquida o solida di un partito. Più altre amenità.
Il Pd fatica. Non riesce a mettersi in sintonia con l’elettorato. Non trova temi capaci di ancorarlo nel paesaggio politico. La storia di un soggetto federale (un “leghismo meridionale“ proponeva l’altro giorno, sulle colonne del Sole 24 Ore Adriana Poli Bortone) può significare il bisogno di cogliere le varietà territoriali ma anche la voglia di sfuggire agli equilibri delle segreterie di partito, al cosiddetto “centro“. Senza però avere un progetto che vada al di là delle situazioni locali.
Eppure, un progetto serve. E’ urgente per chi ha coscienza della crisi. Quattro o cinque punti dirimenti. Con una frase d’antan: dirimenti per l’Italia, prima che per il partito.
Ma se il metodo è sostanza, un progetto deve trovare gambe il sostegno di uomini e donne in carne e ossa (che sarebbero gli elettori) per evitare di trasformarsi nell’ultracitato “caciocavallo appeso“. Allora, vorremmo tornare a ripetere ciò che abbiamo detto nell’assemblea di Chianciano promossa dai Radicali italiani, rivolte ai militanti di questo partito ma anche agli uomini e alle donne delle diverse sinistre. Noi pensiamo che la politica sia prodotta dalle relazioni tra individui dei due sessi. E che queste relazioni vadano nominate e difese, che non possano venir lasciate nelle mani di pochi i quali sono soliti decidere, vicino ai caminetti o davanti a una zuppa di pesce, come fare e disfare le coalizioni e le alleanze.
Con alcune Radicali (da Emma Bonino a Donatella Poretti) abbiamo antiche e non strumentali (del tipo: Ci mettiamo insieme per le elezioni e poi ognuno per la sua strada) relazioni. Potremmo fare una serie di altri nomi, soprattutto quelli di femministe giacché in quel mondo è radicata la nostra pratica politica. A queste relazioni non vogliamo rinunciare.
D’altronde, non crediamo che il rapporto tra Partito radicale e dei Radicali eletti nelle liste del Pd con il Partito democratico sia concluso. Non c’è stato un divorzio consensuale (come aveva sostenuto Dario Franceschini). Possibile che dopo aver invocato la società civile, i gruppi, le associazioni, il contributo dei singoli e collettivo, ci si trinceri dentro i confini, peraltro così labili, del “partito“? Che non ci sia curiosità, ad esempio, a costruire dei luoghi di incrocio per contaminare, scambiare idee, culture, esperienze? Non per un ingresso – armi e bagagli – nelle file democratiche ma per costruire un mix virtuoso in grado innanzitutto di operare un mutamento di rotta sull’ambiente, di contrastare la recessione con quelle che papa Ratzinger definisce “misure etiche“, di ripensare il modello socialdemocratico del welfare.
E però, in che modo è possibile? Certo, occorre accoglienza, rispetto reciproco. Senza un regolamento adeguato non si fanno passi avanti. Tornando dal cielo alla terra, la strada ci sembra quella della doppia tessera. Luigi Manconi ha parlato di “opzione unitaria“ che potrebbe tradursi in una forma di collaborazione meno povera e opportunista di quella avuta con l’Idv e con le idee della giustizia coltivate da Di Pietro.
Sarebbe, questa sì, una novità. Rispetto alle coalizioni, ai rassemblement, all’ipotesi che viene spesso rilanciata, del farsi partito di pezzi di partiti. I Radicali già praticano una simile strada. Ignazio Marino sembra d’accordo. E Bersani e Franceschini?
Naturalmente, importante è il “come“ della doppia tessera. Probabilmente, questa nostra riflessione non può essere disgiunta oggi da un ripensamento (in molti lo hanno accennato) sullo Statuto che appare contraddittorio rispetto alle spinte di apertura. Con il rischio che queste spinte restino lettera morta. Un partito chiuso, escludente, non riuscirà mai a guardare il Paese.