Pubblicato sul manifesto il 20 febbraio 2018 –
Mi è già capitato di osservare, grazie a notizie in rete elaborate da Labodif, che la parola competizione ha una radice etimologica (cum-petere, dal latino: chiedere insieme, convergere verso lo stesso punto) che potrebbe autorizzare un significato cooperativo esattamente opposto a quello dominante. D’altra parte è fastidioso che a questo significato conflittuale sia dato un valore prevalentemente positivo. Anzi, fondante del modo di vivere gabellato per il migliore possibile.
Guai a quel paese il cui sistema economico non sia adeguatamente competitivo! Guai alla persona mite che si sottrae alla dura tenzone (mors tua, vita mea, tanto per restare alle citazioni): è destinata a essere un/una perdente!
Ieri (lunedì 19 febbraio) sulla prima pagina del Corriere della sera mi hanno colpito vari messaggi. C’è il sospetto che il molto grillinamente competitivo comandante De Falco ( che maltrattò con unanime consenso nazionale il pusillanime Schettino) abbia maltrattato, forse meno eroicamente, anche moglie e figlia. Una foto che ha fatto il giro del mondo ritrae il primo ministro israeliano Netanyahu che brandisce un (supposto) rottame di drone iraniano come fosse spada o clava, mentre paragona la repubblica islamica dell’Iran al nazismo di Hitler. Lo scrittore Alessandro D’Avenia dedica la sua lunga rubrica del lunedì alla violenza maschile sui corpi femminili: riti oscuri che si perpetuano dal sacrificio di Ifgenia (che doveva favorire la guerra dei Greci contro Troia) sino allo smembramento di Pamela a Macerata.
Unica notizia un po’ confortante, la restituzione del violoncello da un milione di euro alla musicista francese Ophelie Gaillard, che alcuni giorni fa era stata brutalmente rapinata (con coltello alla gola per la strada) dei suoi averi e del preziosissimo strumento. Aveva poi pregato sui social che le fosse ridato. Probabilmente il rapinatore semplicemente non sapeva che farsene di un oggetto tanto unico da non poter essere rivenduto. Ma come non sognare che il potere magico della musica abbia esercitato un benefico effetto anche sul suo feroce e forse disperato animo?
Il libro – che ho qui già citato – di James Hillman Un terribile amore per la guerra, termina con un sogno simile, anche se psicologicamente più strutturato. La radice competitiva, aggressiva, “marziale” della guerra è ineliminabile nell’antropologia umana, quindi, più che illudersi di contrastarla “cristianamente” con l’amore, si può tentare di indirizzarne la dinamica su altri terreni. Per esempio quello della creazione artistica. “Un equivalente della guerra – secondo Hillman – perché propone un nemico irriducibile (l’immagine, il materiale, l’ideale) da attaccare, sottomettere, convertire”. Un rito individuale e collettivo più nel segno dell’erotica Venus Victrix, l’Afrodite vincitrice, che in quello del sanguinario Marte.
Mi viene in mente il famoso duello al pianoforte, di fronte all’imperatore Giuseppe II, tra Muzio Clementi e Mozart. Finirono alla pari, a quanto sembra. Clementi ebbe parole di elogio per l’avversario. Meno generoso Mozart, che di Clementi apprezzò la tecnica ma non il gusto (fino a definirlo il solito “ciarlattano come tutti gli italiani”).
Qualche decennio prima una lite tra Haendel e il suo amico cantante, compositore e clavicembalista Mattheson, non finì tragicamente solo per caso. Si narra che un bottone del panciotto impedì alla spada di Mattheson di infilzare Haendel.
Già, i due gentiluomini, sul pacifico palcoscenico di un teatro d’opera per le prove d’orchestra, giravano però armati. Come d’uso.