Come tenere insieme l’annoso problema delle donne in carriera che non ne fanno abbastanza e la quotidianità lavorativa di migliaia di donne dalla carriera incerta o precaria o addirittura prive di qualsiasi carriera? Ci prova Grazia sponsorizzando il concorso Veuve Clicquot 2009, quest’anno dedicato alle imprenditrici nelle aziende di famiglia, e abbinandolo a una “grande inchiesta” tra le lettrici. Sessanta domande che ruotano intorno al mai risolto rapporto tra lavoro e famiglia con tanto di concorso e premi in palio (il primo: un viaggio in Francia con visita alle cantine Veuve Clicquot).
Anselma Dell’Olio e Francesco Morace, che fanno parte della giuria, prevedono un futuro luminoso per il lavoro femminile. O quasi. Anselma in verità è più pessimista: “I processi sociali sono molto lenti”, dice, e noi donne “ci comportiamo come se non ci meritassimo mai gli obiettivi che raggiungiamo”. Infatti “abbiamo interiorizzato la discriminazione sessuale”. Ma le giovani donne, sostiene il sociologo Morace, hanno un rapporto più “elastico” con il lavoro, ci puntano prima che arrivino i figli, poi rallentano e, con la prole cresciuta, rilanciano. Considerano il luogo di lavoro innanzitutto un “luogo di relazione”, mentre per gli uomini l’ufficio resta uno spazio “di gerarchia e di potere”. Per questo, conclude, le donne vinceranno.
Sempre che il lavoro si trovi, però. E che la cultura della flessibilità non resti, come è ora, a senso unico. In Spagna, ad esempio, dove la disoccupazione è al 17, 3 per cento e quindi sono molte quelle che non bevono champagne, la vice premier Maria Teresa Fernandez de la Vega, ha avuto un’idea: dare un titolo di studio alle casalinghe. Per ottenere il diploma di “ama de casa” (padrona di casa) bisognerà superare un esame teorico e pratico. Una volta “diplomate” si potrà essere accreditate nel mercato del lavoro di chi si occupa di “persone dipendenti”, anziani, disabili, bambini, tutelati dalla “legge sulla Dipendenza” che prevede contributi economici per le famiglie che hanno bisogno di aiuto.
Insomma, scrive con ironia un po’ misogina Gian Antonio Orighi su La Stampa (27 aprile), c’era bisogno di “badanti titolate”, che sappiano cambiare pannolini e cucinare paella. C’è poco da scherzare. Secondo El Paìs, infatti, le imprese specializzate in servizi socio-sanitari, cercano 300 mila persone.
E, in Italia, c’è in cantiere qualcosa di simile? Lo esclude Concetta Fusco del Moica (movimento italiano casalinghe) che ricorda come per essere definite “casalinghe” basti essere donne e non avere un lavoro (La Stampa). Il che non significa non cercare un lavoro.