Sono appena tornata da un viaggio in Polonia che mi ha colpito, tra l’altro, nella mia sensibilità femminista. Nelle più importanti città ho visto cortei o presidi di donne e uomini che, tra urla e foto enormi di feti sanguinolenti, pretendono la proibizione e punibilità di ogni tipo di aborto. Sulle porte di molte chiese ho visto manifesti che invitano a veglie di preghiera “per la vita” e di espiazione per il peccato mortale di aborto. Tutto questo mi ha indignato e generato repulsione ma alla fine mi fa fatto dire dentro di me: ”urlate pure, magari vincerete sul piano della legge, ma tanto le donne hanno fatto e faranno quello che vogliono del proprio utero, e perfino dei propri figli e figlie.” Questo pensiero ha sorpreso me stessa mentre lo formulavo e mi ha riportato nel cuore della limpida evidenza del principio di autodeterminazione che il femminismo ha messo alla base di ogni logica che riguarda il corpo delle donne. E l’evidenza di questo principio che si riapriva in me nel suo valore extra-storico mi ha riportato all’interno dell’aspra discussione intorno alla GPA e del richiamo di Letizia Paolozzi che, su DeA del 29/07/17, chiedeva di deporre i toni bellicosi e la rincorsa ad una lacerazione infausta nella reta delle femministe italiane. Così ho pensato che forse un po’ di ordine nella discussione si può trovare ma, soprattutto, che è possibile una lotta comune tra schieramenti pro GPA, schieramenti possibilisti e schieramenti contro la GPA. Già l’idea che si possa concretamente parlare di “schieramenti” ha un sapore non buono, dopo i due tentativi di Paestum intesi a riparare le relazioni lacerate da altri conflitti.
Insomma, bisognerebbe prendere atto che l’autodeterminazione ha un valore letterale e che, anche nel caso della GPA, ci saranno donne (come ci sono e ci sono state prima) che useranno la propria esclusiva capacità procreativa come vogliono, partoriranno figli per gli altri, per sé, per amore della vita, per soldi o per dono o per superficialità o semplicemente perché parecchie partoriscono con facilità, senza soffrire troppo. Dunque la causa comune tra “schieramenti” potrebbe essere essere quella di tornare a rendere radicale l’autodeterminazione delle donne, per ogni scelta che riguardi il proprio corpo. Questo significherebbe, per via logica, non volere mai né chiedere la penalizzazione né chiedere la regolamentazione.
Lo so che altri paesi hanno già regolamentato le pratiche procreative e che forse l’Europa cercherà di imporre la regolamentazione dove ancora non c’è, ma è proprio qui che si caratterizzerebbe e riconfermerebbe come avanguardia il femminismo italiano radicale (che ha fatto scuola già altre volte). Abbiamo detto che per la differente posizione che le donne si sono trovate ad avere per l’esclusiva capacità di procreare, è sostenibile la posizione di autodeterminazione extra-legem, poiché la legge e il diritto moderno sono universalistici e non ancora capaci di sopportare le differenze reali. Trovo che la controversia GPA sia una buona occasione per smorzare i toni, per disfare gli schieramenti, per stringere le relazioni e ritrovare lo slancio comune della posizione femminista de-legiferante. Ciascuna donna può trovare ragioni per mantenere la propria posizione, pro o contro la GPA, e continuare a sostenerle e chiarire percorsi impervi per convertire chi ha posizioni diverse.
Ma le due principali posizioni femminili potrebbero impegnare le proprie energie inventive e le proprie genealogie per impedire che ci sia pena o che ci sia regola. E’ anche una buona occasione questa per riprendere l’irrisolto nodo che riguarda la sessuazione del diritto e/o la sua ineffettività riguardo alla differenza femminile. Le donne, in ogni caso, si sa già che faranno del proprio utero quello che vogliono. Ed è questa una delle preziose eccellenze che abbiamo da presidiare, da valorizzare e da rilanciare, studiando insieme come farlo, di nuovo, in questi “tempi bui”.