Domani a Bologna, presso la libreria Modo Infoshop presenteremo il n.122 della rivista “Leggendaria”, il cui tema è dedicato ai nuovi scenari della pornografia. Pubblichiamo due articoli presenti in rivista: quello di Bia Sarasini sul sex working, e l’introduzione al tema.
di Monica Luongo e Giorgia Serughetti
“L’erotismo è di sinistra, la pornografia è di destra. Anche la penetrazione è di destra, i preliminari invece sono di sinistra – tranne che per il pompino che, invece, è di destra”. Quello che conta sono le definizioni, dice Svitol, il protagonista di Maledetti vi amerò, il film di Marco Tullio Giordana del 1980. Dove sono oggi destra e sinistra, conservazione e innovazione, repressione e sovversione? Quali definizioni restano a disposizione quando il confine tra erotismo e pornografia è sempre meno facile da tracciare, quando la pornosfera espande i suoi confini penetrando massicciamente nella cultura mainstream, quando si parla di “pornificazione” della società e dell’immaginario collettivo? La pornografia può essere uno strumento per la liberazione femminista o resta una roccaforte dell’immaginario maschilista?
Quello della pornografia è stato uno dei temi più divisivi per i femminismi, specialmente in area anglosassone. Insieme alla prostituzione, fu al centro delle cosiddette “sex wars” degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso: da una parte femministe radicali come Andrea Dworkin e Catharine MacKinnon, che vedevano nella pornografia uno degli strumenti più potenti di perpetuazione del dominio sessuale maschile; dall’altra femministe “sex positive”, come Gayle Rubin, Pat Califia, Wendy McElroy, convinte che il movimento censorio contro il porno fosse un prodotto del puritanesimo morale e una forma di autoritarismo, e che la rappresentazione esplicita del sesso dovesse essere volta a vantaggio della scoperta femminile del piacere, quindi della liberazione delle donne. Nel 1984, nel suo Pleasure and Danger, Carole Vance evidenziava la tensione tra piacere e pericolo nel discorso femminista sulla sessualità, e il rischio che la seconda dimensione, ricondotta alla violenza maschile, avesse la meglio sull’esplorazione femminile del piacere.
In Italia, nei decenni della “seconda ondata”, collettivi di donne facevano irruzione nei cinema porno per attaccare la cultura sessista dominante. Ma anche qui c’erano voci dissonanti, come quella di Michi Staderini, che cominciò a esplorare il significato della pornografia per le donne già nei primi anni ’80, e di Roberta Tatafiore, femminista libertaria, attenta studiosa del lavoro sessuale, e curatrice dei Rapporti sulla pornografia in Italia dell’Eurispes.
Se gli anni ’70 furono quelli dei cinema porno che spuntavano come funghi in tutte le città d’Italia, gli anni ’80 furono quelli del divismo pornografico, con l’ascesa di star come Moana Pozzi e Cicciolina (quest’ultima, nome all’anagrafe Ilona Staller, è stata anche la prima attrice al mondo di film per adulti ad essere eletta in Parlamento, tra le file dei Radicali). Prendeva il via allora un processo di normalizzazione pubblica della pornografia, che è andato di pari passo con la diffusione dei materiali hardcore attraverso circuiti sempre più privatizzati, grazie al vhs prima, al dvd poi, e oggi alla proliferazione dei luoghi di fruizione in Internet.
Pornografia e femminismi contemporanei
La critica femminista alla pornografia non si è però attenuata nei decenni che ci separano dagli anni ’70. Tra i contributi più recenti si possono menzionare gli scritti di Michela Marzano, in lingua francese, La Pornographie, ou l’épuisement du désir (2003) e Malaise dans la sexualité. Le piège de la pornographie (2006). Come mostra lo studioso Federico Zecca in un saggio dedicato alla letteratura sulla pornografia, si può parlare negli ultimi anni di una rinascita del femminismo anti-porno, con il ritorno di argomenti pro-censura alla Dworkin e MacKinnon, spesso corroborati dalla crescente preoccupazione per una patologia dalla definizione scientifica molto incerta come la “dipendenza da pornografia”, e la sovrapposizione di questioni psicologiche e questioni morali.
Questo non deve oscurare, tuttavia, la moltiplicazione contemporanea di discorsi e pratiche femministe in campo pornografico che mirano a riappropriarsi del mezzo espressivo in funzione liberatoria, dando spazio a rappresentazioni di corpi sovversivi, capaci di rivoltare i canoni della bellezza proposti dalla società dei consumi e dalla stessa industria pornografica mainstream. Sono stati pubblicati anche in Italia i libri delle autrici spagnole Diana Torres, Pornoterrorismo (2014), e Itziar Ziga, Diventare cagna (2015), fautrici di una rivolta contro ogni forma di decenza che irregimenta i corpi.
Non si tratta solo di parole. Le attiviste post-porno sono spesso anche performer. Mentre è andato crescendo il numero di donne registe dell’hard, di un porno non solo “al femminile” ma autenticamente “femminista”: da Dirty Diaries (2010) di Mia Engberg, un progetto interamente finanziato dallo Stato svedese, a XFemmes, miniserie televisiva prodotta in Francia da Canal+ e realizzata interamente da donne, al suo analogo italiano (autoprodotto) Le ragazze del porno, progetto di cortometraggi porno d’autore girati da registe italiane. In questo numero di Leggendaria dialoghiamo con una di loro, Monica Stambrini, regista di Queen Kong (2016), e con Janina Rudenska, interprete del film.
Porn after porn, quindi, come recita il titolo del volume uscito nel 2014, curato da Enrico Biasin, Giovanna Maina e Federico Zecca, che mappa il territorio sempre più mosso delle pornografie “alternative”, dove trovano spazio sottoculture, identità marginali, corpi non normati, estetiche queer. I confini del porno non coincidono più interamente con quelli dell’immaginario “fallologocentrico”, con il cono visivo del male gaze. E di questa espansione le donne sono sempre più protagoniste, non solo come attrici, ma anche come registe, produttrici e, naturalmente, fruitrici.
99 gigabyte al secondo
Che si tratti di porno mainstream o alternativo, l’attenzione delle donne per il genere sembra decisamente in crescita, anche se il mercato dell’hard resta nel complesso dominato dagli uomini. Uno dei siti di contenuti porno più famosi e visitati al mondo, Pornhub, dichiara che le donne rappresentano il 26% degli utenti, ma il dato supera il 30% in alcuni paesi. Un’apposita categoria di video “per donne” mira del resto espressamente a questo target. Le statistiche di Pornhub danno poi un’idea del volume generale di traffico che è mosso dalla pornografia online: 99 gigabyte di dati al secondo, 92 miliardi di video, 23 miliardi di visitatori in un anno, 64 milioni al giorno, in media. In totale, nel 2016, è stato visto dagli utenti di tutto il mondo il corrispettivo di più di cinque secoli di video porno: 191 milioni di giorni.
Linda Williams nel 1989 ha introdotto la nozione di “on/scenity” per descrivere l’emersione dei materiali hardcore dal “fuori scena” (off scene) alla superficie della sociale e della mediosfera, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso. “L’on/scenity”, scrive la studiosa, pioniera del campo di ricerca identificato oggi con il nome di porn studies, “è il gesto attraverso il quale una cultura porta all’interno della sua scena pubblica gli organi, gli atti, i corpi e i piaceri che precedentemente erano stati considerati osceni, e dunque tenuti fuori scena”. Se fino agli anni ’80 i circuiti del porno restavano riconoscibili e circoscritti – i cinema a luci rosse, i videonoleggi, le edicole, ecc. – oggi la svolta digitale ha trasformato il panorama fino al punto da par parlare di pornificazione della cultura mainstream.
Ne scrive, per questo tema, Federica Fabbiani a proposito delle serie tv, tracciando un cambiamento che è anche conseguenza dell’ingresso di sceneggiatrici e produttrici nel mercato della serialità televisiva, proprio come avviene per il mercato più globale del porno. Il crowdfunding che ha avuto più successo di ogni altro lo scorso anno è stato quello lanciato da Alexandra Fine e Janet Lieberman, che hanno inventato EVA, un nuovo sex toy per signore che ha raccolto circa 700mila dollari. E non è un caso che la notizia sia riportata dalla prestigiosa rivista Forbes. Oggi EVA è una società che impiega solo donne e vende migliaia di pezzi in tutto il mondo.
L’altro dato particolarmente rilevante, che a nostro parere sta contribuendo a cambiare il mercato e la fruizione del porno, è la produzione “fai da te”, ovvero video girati da non-attori tra le mura di casa o in spazi in qualche modo familiari. La camera non è più manovrata da un regista o un operatore, e non è necessariamente in mani maschili. Con le riprese viene condivisa anche l’intimità dei partecipanti, spesso spogliati di dettagli in primo piano (caratteristica della pornografia classica), e le immagini raccontano a chi guarda un po’ della storia di chi li produce. Pare che ciò di cui fruitori e fruitrici vanno in cerca, in questo caso, sia l’amplificazione di quello che hanno o che vorrebbero nelle loro case: una partecipazione diretta al porno, un’empatia che non può essere oggetto delle produzioni professionali.
La porno attrice Era Darling, che si filma usando una Cam 4VR, sostiene umoristicamente che questa tecnica genera una dipendenza più simile a quella del crack che non al sesso; e che il bisogno di sbirciare tra le sue mura di casa oltre che tra i suoi genitali è tale che lei riceve commenti di followers che le suggeriscono persino di tenere più in ordine la sua stanza. Si tratta tutto sommato di grandi comunità allargate, dove si condividono esperienze e fantasia. Come quella che ha realizzato Cindy Gallop con MakeLoveNotPorn, una piattaforma social dove si possono scaricare video amatoriali, divisi sempre per settori tematici, a cui si contribuisce con piccole somme di denaro per accedere ai video, oppure offrendone uno in cambio.
Con la proliferazione prodotta dalla tecnologia digitale, “i dibattiti sulla legittimità o meno dell’esistenza della pornografia sono impalliditi davanti al semplice fatto che le immagini porno (fisse o in movimento che siano) sono divenute una caratteristica pienamente riconoscibile della cultura popolare”, scrive Linda Williams nella collezione di scritti da lei curata, Porn Studies. Le stesse soluzioni tecnologiche sono state sfruttate dall’industria pornografica in direzioni spesso pionieristiche e originali. Senza considerare il volume di contenuti autoprodotti e amatoriali generati all’interno di piattaforme dedicate al dating online, di cui parla il contributo di Olimpia Bineschi in questo numero. Ricordiamo, tra l’altro, che le CEO delle più diffuse app di dating negli Stati Uniti sono donne, e adeguano il prodotto di conseguenza.
Parallela alla moltiplicazione quantitativa della produzione pornografica è stata la sua diversificazione, nello sforzo di incontrare sempre nuovi target di mercato, a cui i contenuti sono offerti in forma segmentata, incasellata e ordinata attraverso generi, categorie e tag. “A ognuno secondo il proprio gusto, da ognuno secondo le sue disponibilità (economiche)”, scrive Elisa Cuter nel contributo presentato in queste pagine.
Contenuti alti e bassi, come si può leggere in questo tema, su cui il giudizio di qualità è affidato soprattutto a chi ne fruisce. Produzioni cinematografiche, televisive, video e letteratura. Fino a sperimentazioni artistiche come il progetto Hysterical Literature, una serie di video-arte realizzata dal fotografo e regista newyorkese Clayton Cubitt, che intende esplorare “il femminismo, il dualismo mente/corpo, il ritratto della distrazione e il contrasto tra cultura e sessualità (ed è anche veramente divertente da guardare)”. Nei video, ardite volontarie scelgono di leggere un testo di loro preferenza (da Flaubert a Bernhard, da Morrison a Foster Wallace), sedute a un tavolino, mentre qualcuno/a, di nascosto sotto il tavolo, le masturba con un vibratore. L’effetto, per chi scrive, è esilarante. Danielle, una della partecipanti, dice “l’arte è simultaneamente una riflessione e una reazione alla società: è la mera intenzione di essere onesti e senza filtri. Se ciò viene compreso, perché allora il sesso dovrebbe essere qualcosa di meno di un messaggio artistico ?”
Lanciata nell’agosto del 2012, la serie è stata guardata più di 45 milioni di volte in 200 paesi.
L’educazione sessuale del maschio
Pornografie, dunque: il plurale è ormai d’obbligo. Non tutte sono prodotte da uomini per uomini, non tutte vedono le donne in ruoli passivi o di servizio, o ridotte a organi e parti, o trattate come oggetti o bersagli di una sessualità maschile iperbolica. Tuttavia, sembra decisamente troppo presto per dichiarare estinto il lungo predominio dello sguardo maschile nella produzione e fruizione del video hard, all’interno dell’ampio universo del porno mainstream. Il ciclo di visione-stimolo-eccitazione-appagamento è infatti ancora oggi largamente innescato da scene che si nutrono di immaginari stereotipati e cliché.
Un’analisi dei dati relativi a 10mila porno star, realizzata dal giornalista inglese Jon Millward, rivela che le interpreti dei film hard catalogati nell’Internet Adult Film Database sono bianche, alte in media 1,67 m, pesano poco più di 50 kg, e hanno un seno “coppa B”. L’immagine di donna più diffusa nel porno commerciale è insomma più vicina a rappresentare il modello normativo della bellezza femminile proposto dalla società dei consumi piuttosto che la sua sovversione.
Inoltre, a differenza dell’alt porn (il porno alternativo) che cerca di aderire alla vita vera e di superare rappresentazioni idealizzanti, la pornografia più diffusa mette in scena un’idea di sesso “perfetto”. Come scrive Giovanna Maina nella raccolta intitolata Il porno espanso, “gli attori e le attrici reggono senza mai fallire, rapporti sessuali infiniti che assomigliano a performance atletiche; le donne sono esseri insaziabili, disposti verso ogni tipo di pratica sessuale, anche le più degradanti; la soddisfazione sessuale è garantita, e costantemente testimoniata, fuor di ogni dubbio, dall’eiaculazione finale; e così via”.
Meriterebbero un capitolo a parte (e anche maggiore attenzione di quanta possiamo offrirne qui) le produzioni di porn movies in paesi dove la censura si fa sentire in maniera prepotente, come in gran parte dei paesi musulmani, e dove allo stesso tempo molte donne e uomini seguono rituali e comportamenti sessuali diversi dai nostri. I film porno per i paesi del Sud-est asiatico, per esempio, sono in maggioranza prodotti nei Paesi Bassi e realizzati per soddisfare i desideri di tutto ciò che abitualmente le coppie musulmane non praticano, come il sesso orale o quello anale. Gli attori sono rigorosamente bianchi e depilati (la depilazione è un obbligo, non una moda) e le performance altrimenti inibite nella realtà delle stanze da letto, in particolare il cunnilingus e la penetrazione anale, non vengono realizzate da uomini su donne, bensì solo tra donne. Perché il desiderio maschile deve restare aderente a dettami culturali e religiosi, e nemmeno lo sguardo potrebbe probabilmente reggere la rottura di un tabù: è così sempre il corpo femminile a farsi di nuovo docile a fantasie che solo altre donne possono soddisfare, infelice compromesso di repressioni collettive e individuali che richiedono ancora molta strada per essere superati.
La proposizione di una norma, estetica e performante, è l’aspetto che desta maggiori preoccupazioni a livello sociale, specialmente con riguardo al ruolo crescente che la pornografia assume nell’educazione sessuale degli adolescenti. Non che mancassero i materiali pornografici nell’apprendimento del sesso prima della diffusione dell’audiovisivo e del digital turn di fine millennio. Nane Cantatore ricorda nel suo contributo quanta passione i ragazzi della sua età mettessero nello sfoglio del giornale Le Ore. La generazione che è stata probabilmente l’ultima a formarsi sui “giornalini di pelo” è stata tra l’altro anche la prima, ricorda l’autore, a condividere il materiale pornografico all’interno delle coppie – etero, lesbo e gay. Questo uso open ha in qualche modo contribuito a modificare lo sguardo maschile proprio perché l’ha sottratto alla solitudine della visione. Rispetto all’educazione dell’adolescente del secolo scorso, comunque, ciò che distingue il tempo presente sono soprattutto la quantità e l’accessibilità immediata dei contenuti hard commerciali o amatoriali.
Lorenzo Gasparrini nel suo Diventare Uomini. Relazioni maschili senza oppressioni parla della pornografia come di una “vera e propria weltanschauung, una visione del mondo e della vita”, che l’adolescente apprende: “il rapporto di potere tra uomo e donna basato su una precisa estetica standard – pulizia del corpo da qualunque fastidio visivo, atletismo dei gesti, ovvia e sottintesa disponibilità sessuale, conferma dei più tristi pregiudizi sessisti – che è la condizione per dei rapporti sessuali standard, come appunto sono raccontati nella pornografia commerciale standard. La catena sempre uguale degli avvenimenti abitua e anestetizza nei confronti di una vera e propria apertura all’altra persona”. Ne discende un esercizio a “praticare l’indifferenza verso l’altra, ridotta al manichino/attrice di un copione scritto da un uomo solo”.
La pornografia mainstream, la più diffusa e accessibile ad ogni età, educa a una sessualità senza impacci, senza intoppi, senza l’ostacolo del desiderio altrui. E lo fa, prevalentemente, nella prospettiva rapace del maschio. Non è questa la realtà del sesso. Ma la questione dello statuto di realtà degli atti rappresentati diventa oziosa quando esiste la chiara consapevolezza che si tratta di una finzione. È chiara, oggi, questa distinzione? Non abbastanza, probabilmente, se un pornodivo come Rocco Siffredi (quasi 2000 film porno all’attivo come attore, 450 girati da regista) ha creduto opportuno farsi promotore di una campagna a favore dell’educazione sessuale e “metterci la faccia”.
L’attore (che tra l’altro porta il suo corpo con grande scioltezza da una dimensione professionale a quella privatissima della famiglia in numerosi casi, tra cui la realizzazione della sit-com Famiglia Siffredi) ha lanciato una petizione su Change.org: “Perché proprio io? Perché faccio il mio lavoro da 30 anni e ho acquisito abbastanza esperienza per assicurare che quello che faccio io non è educazione sessuale, bensì altro, pornografia appunto”. Invece “i ragazzi hanno il diritto di aprirsi, fare domande, avere risposte, ricevere una formazione su una delle cose più belle e importanti nella vita”. Altre porno star, come Franco Trentalance e Valentina Nappi, hanno seguito Siffredi nel lavoro di informatori attenti: le tv private che li ospitano sanno infatti che soprattutto il pubblico dei più giovani li considera beniamini affidabili e di certo più “esperti” di docenti e medici.
Il punto che deve destare preoccupazione non è l’irrealtà del sesso pornografico ma il suo innestarsi in un vuoto di educazione alla sessualità. L’Italia, sotto questo rispetto, è particolarmente manchevole rispetto ad altri paesi europei che da anni prevedono questa materia d’insegnamento.
Libertà o gabbia del desiderio?
Giunte alla fine di questa breve panoramica, ci chiediamo quindi: il porno è una promessa di libertà o una gabbia per il desiderio? Noi crediamo che possa essere entrambe le cose. Con qualche misura di ottimismo, vediamo nello scenario attuale in cui molte donne sono impegnate a trasformare la produzione, la narrazione e la fruizione dell’audiovisivo pornografico l’opportunità per una trasformazione dei significati della rappresentazione esplicita del sesso. Vediamo lo spazio per una torsione di questo dispositivo di visione verso la rottura di canoni estetici e copioni standard di eccitazione e appagamento. Al tempo stesso, siamo consapevoli che l’industria pornografica prolifera su rappresentazioni normative dei soggetti sessuali in cui il ruolo femminile resta ancora largamente subordinato al piacere maschile.
Senza fantasie di improbabili ritorni alla purezza, e senza alcuna simpatia per le tentazioni censorie, abbiamo posto in primo piano la necessità di offrire agli adolescenti spazi e strumenti di decodifica della finzione pornografica. E, per quanto riguarda la possibilità di sovvertire i canoni rappresentativi del sesso, guardiamo a ciò che si muove nel femminismo italiano e internazionale, e tifiamo rivolta.